Dopo aver patteggiato la pena di 4 anni per sfruttamento della prostituzione e procurato aborto, è arrivata oggi anche la condanna a 2 anni e 6 mesi di reclusione per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Imputata era la nigeriana trentenne N.I., rimasta implicata nell’agosto 2016 nell’operazione condotta dalla Squadra Mobile di Cuneo che aveva portato alla luce una terribile vicenda legata al meretricio nell’appartamento affittato dalla donna. Una delle ragazze, rimasta incinta, era stata costretta ad abortire da S.A., la “maman”, condannata in un precedente giudizio a cinque anni di reclusione.
Per N.I. il pm Giulia Colangeli aveva chiesto 6 anni: “Le ragazze sono sempre state nell’appartamento dell’imputata da quando erano arrivate a Cuneo, costrette a prostituirsi per poter ripagare uno dei tanti viaggi della ‘speranza’ dalla Nigeria. Solo lei avrebbe potuto dare spiegazioni sulla rete di traffici umani nella quale era coinvolta insieme ad altri rimasti ignoti. Ma non l’ha fatto”.
N.I., sempre presente durante le udienze scortata dagli agenti della polizia penitenziaria, questa mattina si è limitata a dire di aver ospitato le connazionali in casa sua “perché mi avevano chiesto di aiutarle”.
Una delle giovani, che aveva voluto deporre nascosta insieme all’interprete nascosta da un paravento per non dover nemmeno incrociare lo sguardo dell’imputata, aveva raccontato di essere partita da Benin City, tre anni fa. Dopo aver attraversato il deserto, era arrivata in Libia dove si fermò un mese e mezzo. Fino a quando gli “arabi” che l’avevano fatta sopravvivere in un ghetto, non le dissero che sarebbe partita. Per dove, non lo sapeva nemmeno lei.
Sbarcata a Lampedusa il 24 luglio 2016, era stata trasferita in un centro di accoglienza nel Savonese, e da lì era arrivata a Cuneo, dove era andata ad abitare a casa di N.I.
Si era prostituita per circa un mese: “Tutto quello che guadagnavo, circa 3.000 euro mensili, lo davo alla ‘auntie’ (zietta – l’imputata)”.
Per il legale di N.I. questo era un processo che non si sarebbe dovuto fare perché nell’altro procedimento l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina non era stato contestato: “Le ragazze non sapevano chi avesse pagato il loro viaggio, mai parlato con N.I. per organizzarlo. Una di loro aveva già contatti in Italia perché il fratello abitava a Torino: troppi gli elementi di dubbio per una contestazione così grave”.
Commenti