È iniziata ieri sera, all’insegna della risata intelligente, la grande stagione di intrattenimento del MIV a Varese. Uno spazio cittadino noto a tutti come moderno cinema multisala che, in realtà si sta ricavando sempre più un ruolo a tutto tondo.
Ad aprire la stagione delle conferme per il MIV è arrivato Germano Lanzoni con il suo spettacolo “Di persona è un altro”, un format che continua a divertire e a stupire ormai da diversi anni. Lo abbiamo incontrato prima dello show, nell’ora abbondante che precede l’uscita sul palco, con l’intento di conoscerlo più da vicino al di là del suo personaggio più noto, il Milanese Imbruttito.
Grazie per averci concesso questa breve intervista in esclusiva in un momento che solitamente gli attori dedicano a se stessi, al proprio gruppo e ai collaboratori (pizze d’asporto in arrivo..., ndr). Ci verrebbe da dire che di persona sei un altro ma viene difficile sostenerlo vista la tua più conosciuta veste. Battuta a parte, con questo titolo volevi forse esprimere il desiderio di far conoscere al pubblico un aspetto di te ancora non svelato?
In parte sì. Di persona è un altro ha una doppia valenza. La prima è il desiderio di raccontare quello che va oltre il percepito. Il percepito non è solo il personaggio ma anche il ruolo, lo voce... L’intenzione di relazionarsi in modo più intimo. La seconda valenza è una chiave di lettura di tutte le interazioni. Cioè nella vostra o meglio nella nostra vita indossiamo delle maschere – la mia peraltro è ben definita – quindi a prescindere da quello che facciamo come lavoro, nella nostra vita di persona siamo altri. Il mio show è come un ritrovarsi utilizzando l’ironia per raccontare fatti e misfatti di ciò che vedo e ciò che incontro con l’intenzione che ribadisco anche nello spettacolo, quella di affermare che la nostra presenza in tutto quello che facciamo non è soltanto il ruolo. C’è questo bellissimo racconto riportato da una lunga serie di comici giullari che arriva fino al grande Paolo Rossi (cita anche il maestro Moliere ma su quest’ultimo non mette la mano sul fuoco, ndr) la quale riporta un’importante regola del gioco. Gli attori quando camminano lasciano tre impronte: la persona, il mestiere e il personaggio. Il pubblico ti percepisce attraverso l’ultima impronta. Per fare la tua impronta, per fare il personaggio devi appoggiarti alle tue competenze e alla qualità della persona che fa la differenza al personaggio. Questo vale nel teatro come nella vita: laddove al posto del personaggio c’è il ruolo e al posto del mestiere ci sono le competenze allargate. Poi c’è la quota persona e, se volete, proprio qui sta il senso dello spettacolo. Noi facciamo la differenza quando la persona che ha il suo modo di pensare e di percepire la realtà dettata dall’esperienza diretta appiana le competenze per far sì che quando è in un ruolo di responsabilità non si dimentichi della sua impronta di persona.
“Di persona è un altro” parla della quotidianità dell’uomo contemporaneo promettendo due ore di grande intrattenimento grazie al grande spazio lasciato all’improvvisazione. Oltre alle risate d’autore, come sempre, arrivano anche le riflessioni...
Sicuramente la principale riflessione è quella che ti ho appena raccontato. Anche perché poi si tratta di uno spettacolo comico dove posso permettermi un piano di esplorazione riflessiva solo quando la gente ha già iniziato a sorridere. La comicità abbassa le difese, per fare una citazione illustre, quindi il compito di noi comici, di fronte ad un pubblico disposto ad ascoltare grazie alla risata che ci ha connessi, è quello di dare qualcosa di valore al momento giusto. I comici ovvero i “matti con licenza” hanno la possibilità di dire, proprio come i matti, la loro verità.
La musica accompagna lo spettacolo ma forse testimonia il tuo legame profondo con essa? Tu sei anche autore, vero?
Su questo punto mi attribuisco un’appartenenza alla scuola milanese. Tale scuola ha sempre avuto due dinamiche narrative: il testo o il monologo e la musica ovvero la canzone ironica. Tutti i grandi maestri, da Gaber a Jannacci, hanno sempre utilizzato i due canali. Quindi io sono cresciuto con l’idea che il maestro canta e parla. Nel teatro canzone, ogni parola e suono sono come cesellati. La precisione di Gaber in questo senso veniva fuori eccome. Io non sono così preciso e così cantautore ma l’urgenza di raccontare delle cose attraverso la canzone mi serve anche come variazione del fil rouge nello spettacolo.
Varese: c’è un legame particolare? Ce lo vuoi raccontare?
In realtà, ho vissuto dieci anni a Varese. In via Vetera per cinque anni e poi per altrettanti anni ad Azzate tra il 1994 e il 2004. Sono stati anni molto formativi con le serate all’Arlecchino di Vedano Olona a vedere i Fichi in attesa della mia serata il venerdì. Ho fatto cinque anni di grande laboratorio in questo territorio. Tornare qui è ritornare indietro nel tempo, è ricongiungermi con il pubblico, le persone, alcune facce e riprendermi un pezzo della mia storia. Pizza da Zei e… parcheggio dove trovi! E poi c’è l’amicizia con Thomas Incontri (l’attuale direttore artistico del MIV, ndr) che in trentadue anni non ho mai visto invecchiare... Io e Thomas facciamo parte di una generazione che ha iniziato insieme. Giglioli, Maffei, Chiodaroli, tutta gente che gravitava nei primi anni Novanta, in quello che poteva essere l’inizio della rispettive carriere. Con i Fichi ormai già in rampa di lancio, noi eravamo bravi attori con tanta voglia di sperimentare. Poi nel 2005 sono tornato a Milano ma senza dimenticare di essermi formato qui. Dopo il diploma di teatro a Milano, infatti, la mia università vera ovvero quella di palco, l’ho fatta qui negli anni in cui c’erano oltre trenta locali di cabaret, lavorando sempre in coppia con un musicista perché così volevo. Ricordo ancora che nella prima stagione riuscimmo a fare quaranta spettacoli. Era un altro mondo dove però ti pagavano perché nessuno metteva in dubbio gli artisti. Questa cosa me la godo perché sono entrato in questo mondo dalla porta principale che voleva dire sperimentare ma anche cadere per imparare a rialzarsi e affrontare tutto il pubblico.
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