Il Nazionale

Cronaca | 10 marzo 2021, 12:55

Adozioni in Kirghizistan, la storia di una coppia di Loano: "Nessuno ha pagato le sue colpe. Ci sentiamo soli e umiliati nel nostro dolore"

Riviviamo quei giorni tremendi attraverso i ricordi di Vincenzo e Paola: "Se tutto cadesse in prescrizione per noi sarebbe la beffa finale. Ma non ci arrendiamo, continueremo ad andare avanti"

Adozioni in Kirghizistan, la storia di una coppia di Loano: "Nessuno ha pagato le sue colpe. Ci sentiamo soli e umiliati nel nostro dolore"

Era il 27 luglio dello scorso anno quando su Savonanews pubblicavamo il resoconto del processo legato alla truffa delle adozioni in Kirghizistan (leggi tutti i dettagli QUI).

Oggi, a distanza di quasi un anno, che cosa è cambiato da allora?

“Poco o niente”, racconta ai microfoni di Savonanews un padre truffato, residente a Loano. Abbiamo infatti incontrato Vincenzo Armandi e Paola Borghese. Due coniugi che fanno parte delle 19 famiglie in tutta l’Italia vittime di truffa. 

L’uomo non riesce davvero a contenere la propria rabbia. Ci racconta: “La persona con la quale eravamo in contatto all’epoca dei fatti è stata condannata a 4 anni di reclusione e a un risarcimento di 50mila euro a persona (quindi 100mila a coppia). Grazie alla condizionale non credo che abbia scontato un singolo giorno di carcere, mentre per la dimostrata incapienza non ha rilasciato un euro di risarcimento. Morale della favola: mi sento umiliato, preso in giro, questa persona si è presa gioco del mio dolore”.

Nel frattempo l’uomo è riuscito a diventare padre naturale di due gemelli, un maschietto e una femminuccia, una gioia immensa, ma non può cancellare la memoria di quei giorni in Kirghizistan. Ci racconta: “Mettiamo subito in chiaro una cosa. Non ne faccio una questione di soldi. Se io avessi quel risarcimento potrei anche decidere di donarlo in beneficenza o attivare un fondo per garantire un futuro ai miei figli, nonostante io non navighi certo nell’oro. Ma è una questione di giustizia. Quella donna mi ha fatto tenere in braccio una bambina dicendomi che sarebbe stata mia figlia per sempre e che poi mi è stata strappata letteralmente dalle braccia. Io e mia moglie abbiamo affrontato di tutto, voli e alberghi verso una nazione che ha tutti i problemi sociali che sappiamo. Ho dovuto persino superare il trauma di minacce e tentativi di sequestro in Kirghizistan. Sono state tutte situazioni traumatiche che non supererò mai. Qualcuno deve pagare per questo”.

Aggiunge la moglie Paola: “Non avrei voluto nemmeno presenziare di persona alle udienze, ogni volta era come riaprire una ferita ancora sanguinante. Tenere in braccio una bambina e poi non vederla mai più è come dover metabolizzare un lutto”.

Le tappe della trasferta a Bishkek, in Kirghizistan, della famiglia loanese dal 5 al 12 luglio del 2012 sono tutte documentate in un diario che contiene anche le foto degli incontri e degli abbracci, i documenti prodotti e i biglietti aerei, le immagini dei luoghi e degli interlocutori incontrati. E, naturalmente, di Elena. La bimba nata a maggio 2011 che avrebbe dovuto essere adottata dalla famiglia di Loano (se tutto ciò non si fosse rivelato poi una monumentale truffa internazionale).

Pare infatti che le coppie truffate (non solo quella loanese) venissero portate in un’area dove si trovavano dei bambini che erano già stati oggetto di adozioni e affidamenti internazionali, per cui non più adottabili. Oltre a tutto questo, le finte visite mediche, le finte udienze tribunalizie in Kirghizistan, gli alberghi e i ristoranti costosi dove le famiglie italiane venivano forzatamente indirizzate: ogni passaggio comportava l’uscita di cifre enormi, sostenute con sacrificio da chi si era recato nella nazione dell’Est Europeo con l’obiettivo di adottare. E ogni tappa era l’anello della catena di una truffa ben pianificata.

Abbiamo contattato telefonicamente l’avvocato di Roma Pierfrancesco Torrisi, che ha difeso la famiglia loanese e altre due coppie. Il legale ci spiega che ovviamente la vicenda non è finita: ci sarà infatti un ricorso in appello che si svolgerà in parte a Genova (per le responsabilità penali, quelle culminate nella condanna in primo grado a 4 anni di reclusione per Silvia La Scala), in parte a Roma (per gli aspetti civili, tra cui il risarcimento alle famiglie). La data dell’udienza romana è già stata fissata nel 5 ottobre 2022, mentre per la parte genovese si attende la comunicazione della data. Ovviamente tutto potrebbe decadere se nel frattempo scattassero i termini per la prescrizione.

Concludono Armandi e Borghese: “Per questo motivo facciamo un appello affinché si possano rendere almeno un po’ più veloci i tempi della giustizia. La prescrizione sarebbe la beffa finale, l’umiliazione estrema dopo tutto quello che abbiamo passato. E non siamo disposti né a subire ancora, né a fermarci qui. Vogliamo giustizia e qualcuno deve pagare per questo. Andremo avanti fino in fondo”.

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Alberto Sgarlato

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