Mentre la politica s’impegna, a parole, ma di fatto arranca sul problema, la macchina amministrativa si muove con passo lento eppure inesorabile: ed è così che il progetto della cosiddetta diga Perfigli sul fiume Entella, tra Chiavari e Lavagna, continua ad andare avanti e, potendo contare sui finanziamenti e su tutte le carte in regola, non è mai stato così vicino alla sua partenza.
Se ne parla da più di vent’anni, ma la sentenza avversa da parte del Tribunale delle Acque contro i ricorrenti e l’inizio degli espropri ai danni dei proprietari dei terreni sulla piana del fiume Entella sono segnali troppo forti per non essere presi in considerazione e per non destare parecchie ansie.
La scorsa settimana, il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, ha ricevuto i sindaci di Chiavari e Lavagna, Marco Di Capua e Gian Alberto Mangiante, per affrontare per l’ennesima volta la questione. La Città Metropolitana, per voce del sindaco metropolitano, Marco Bucci, è intenzionata ad andare avanti. Ma, intanto, sono proprio i cittadini a chiedere alla politica quello sforzo in più. Perché la domanda che ci si fa è piuttosto chiara: visto che nessuno vuole la diga Perfigli, c’è allora qualcuno in grado di fermare, seriamente e concretamente, l’iter amministrativo?
Nei giorni scorsi, a scrivere un’accorata lettera al riconfermato presidente Toti è stato Gianni Dasso, membro del consiglio di amministrazione della Cooperativa Agricola Lavagnina, nonché artigiano produttore di pasta fresca e pesto genovese con il basilico di Lavagna.
Dasso ricorda a Toti che, in occasione della sua ultima visita a Lavagna, in campagna elettorale, sulla diga Perfigli “seppur consapevole dell’avanzato iter progettuale, lei aveva accolto le mie perplessità e manifestato un serio impegno alla verifica e all’approfondimento della questione”.
Secondo Dasso e gran parte dei lavagnesi, il progetto in discussione è “sovradimensionato, deturpante, secondo molti esperti ormai datato e superato da più moderni criteri per la messa in sicurezza idrogeologica e, per alcuni, addirittura pericoloso. Per evitare conseguenze drammatiche, in caso di alluvione, sarebbe sufficiente applicare poche buone norme di manutenzione: ricompattare il seggiun, ovvero il vecchio argine napoleonico che per secoli ha protetto egregiamente la nostra città; ripristinare gli argini, abbandonati nel degrado dall’ultima alluvione; togliere il tappo sabbioso alla foce dell’Entella; mantenere pulito e dragare il letto del fiume quando necessario”.
Dasso chiede a Toti “di tornare a Lavagna, come presidente rieletto. Vorrei mostrarle la piana com’è nelle sue condizioni attuali, un polmone verde e inviolato (zona SIC, protetta dalla Comunità Europea e Oasi Faunistica) ma, soprattutto, sapientemente coltivata, fonte di economia e di reddito per numerose famiglie. Vorrei che la vedesse poiché sono certo che lei, da sempre paladino e promotore delle nostre ricchezze enogastronomiche, potrà facilmente rendersi conto dell’abbondanza che quel territorio preserva”.
Secondo Dasso, “non è solo il basilico che proviene da quegli orti, a renderli per noi preziosi ma anche i cavoli neri, navone, broccoli e gaggette e i piselli (l’erbeggia), nelle varietà autoctone con cui Lavagna è nota nel mondo, le scorzonere e le radici, i porri, la borragine, gli spinaci, i pomodori, i fagiolini e le cipolle: un territorio comparabile per assetto solo alla Piana di Albenga, una risorsa di varietà orticole a cui noi artigiani di Lavagna non possiamo e non vogliamo rinunciare perché sono nostre, caratterizzano i nostri prodotti e il loro sapore rendendoli unici”.
Il rischio è concreto: “Il progetto della diga Perfigli potrebbe cancellare tutto questo per sempre. Spero che la politica possa avere in questa vertenza un ruolo importante, che abbia la forza di invertire la rotta, la forza di ‘cambiare’ direzione, nel reale interesse pubblico, per la sicurezza delle persone e il giusto sviluppo del territorio”.
Le proposte di Gianni Dasso ricalcano quelle formulate dal Comitato Giù le mani dal fiume Entella, che da anni è in lotta per fermare il progetto della diga Perfigli. Si tratta di una serie di punti, condivisi anche dai rappresentanti locali di Confindustria, che sono contenuti in un dossier fatto pervenire nei giorni scorsi ai neo eletti consiglieri regionali da parte di Federico Cardelli, uno dei cittadini da sempre più impegnati e documentati su questa vertenza.
Cardelli ripropone ai neo consiglieri un estratto della relazione tecnica per il ricorso contro la diga Perfigli presentato al Tribunale delle Acque. Il senso è: esistono delle alternative a un progetto così impattante ed è giusto che vadano riportate all’attenzione degli organi competenti.
In particolare, secondo il Comitato Giù le mani dal fiume Entella, occorre partire da una “fusione dei tre diversi strumenti di pianificazione del bacino dell’Entella e dei tre affluenti: attualmente per il torrente Lavagna (principale affluente) esiste un piano di bacino a sé stante, mentre la foce (fortemente ostruita) è demaniale e pertanto ‘regolata’ da strumenti diversi. Questa surreale suddivisione in ‘compartimenti stagni’ ha probabilmente comportato l’esclusione a priori di due soluzioni tra le più efficaci e sicure, ed allo stesso tempo più semplici ed economiche e meno impattanti, tra quelle illustrate di seguito: il dragaggio della foce e la creazione di bacini di laminazione lungo il Lavagna”.
Proprio il dragaggio “è previsto da una legge regionale del 2012 (Piano di tutela dell’ambiente marino e costiero) e sollecitato con delibere di cinque Comuni nel 2017. È reso periodicamente necessario dallo strozzamento della foce operato nel corso degli ultimi due secoli”, ma poi occorrono anche una “revisione delle linee guida regionali che prescrivono il dimensionamento delle opere idrauliche sul tempo di ritorno di duecento anni, caso forse unico in Italia” e una “revisione dei piani di bacino redatti dall’ingegner Tizzoni, che molto probabilmente avevano sovrastimato le piene probabili, e sottostimato la capacità degli argini esistenti dal ponte della Maddalena alla foce (unico tratto attualmente arginato). Esistono molti altri studi, fra l’altro citati nelle relazioni della diga Perfigli, che stimano portate ben diverse”.
Il Comitato ribadisce: “Occorre valutare, se necessario e come soluzione da preferire alla costruzione di nuovi argini, la realizzazione di bacini di laminazione lungo i tre affluenti. Un’operazione di questo tipo è appena stata realizzata a Lavagna, sul Rezza. Inoltre, occorre valutare la fattibilità (soprattutto economica) di realizzare uno scolmatore del torrente Lavagna da Pianezza a Zoagli, come proposto a suo tempo dal geometra Dario Casassa. Lo scolmatore si svilupperebbe per circa 7 chilometri con un dislivello di 70 metri, potendo così sfruttare una pendenza media dell’1%, circa il doppio di quella esistente lungo l’alveo naturale tra Pianezza e la foce. Tale progetto potrebbe probabilmente essere collegato al tunnel della Fontanabuona”.
I cittadini individuano alcuni adeguamenti urgenti: “Demolizione del muro di cinta dell’ex mattatoio di Lavagna, in via Garibaldi: in golena e perpendicolare all’argine, ostruisce il deflusso delle acque e provoca una violenta risacca a causa della quale l’acqua riesce a scavalcare l’argine (com’è accaduto nel 2014); chiusura dei ‘buchi’ nell’attuale argine, realizzati nei poderi per facilitarne lo scavalco; rialzo della sede stradale di via Fieschi in corrispondenza dello scavalco del rio Rezza: il piano stradale è più basso dell’argine di circa mezzo metro”.
E, se proprio dovranno essere costruiti degli argini, esistono soluzioni molto più leggere. “Si realizzino - conclude il Comitato - a partire da dove è più urgente. La ‘prova in vasca’ dal vivo, cui abbiamo assistito a novembre 2014, ha provato inconfutabilmente che il tratto dal ponte della Maddalena alla foce è quello con meno criticità, mentre dallo stesso ponte fino a Carasco non c’è bisogno di ricordare cosa è successo. Inoltre, bisogna asservire i terreni privati, anziché espropriarli come si sta facendo per il primo lotto della diga Perfigli. L’esproprio costa molto di più, con il solo bel risultato che i frequenti sfalci del nuovo argine passerebbero in carico a Provincia o Comune. E i frontisti stessi sarebbero più contenti di prender meno soldi e falciarsi l’argine da sé, pur di non trovarsi le proprietà ‘tagliate in due’, e magari dover pure recintarsi da una parte e dall’altra. A seconda dello spazio che si ha a disposizione, un argine si fa o in terra o in cemento armato. Il primo lotto della diga Perfigli in sponda sinistra prevede di costruirli entrambi, uno dentro l’altro; è tuttora dibattuto se si debba parlare di ‘muro in cemento fasciato di terra’ o di ‘argine in terra con anima in cemento’. Avevamo forse paura di spendere troppo poco?”.
Ma quante buone ragioni servono ancora, per mettere un freno a tutto questo?
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