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Eventi e Turismo | 14 agosto 2025, 07:21

Festival: accordo Rai-Comune rinviato a dopo le ferie ma il nodo da sciogliere è sempre quello della convivenza tra format e marchio

Non è semplice mettere d'accordo tutti sulla fattibilità dell'operazione, a cominciare dai rispettivi apparati burocratici ai quali si aggiungono i consulenti

Festival: accordo Rai-Comune rinviato a dopo le ferie ma il nodo da sciogliere è sempre quello della convivenza tra format e marchio

I giudici li hanno distinti, nettamente separati, ma il vero nodo da sciogliere nella complessa trattativa Rai/Comune per il Festival è quello della convivenza pratica, effettiva, tra format e marchio. Se non si è ancora arrivati alla conclusione del negoziato è soprattutto per la ricerca di una formula soddisfacente e legalmente sostenibile, considerato che si tratta di affidare l'evento per tre anni con possibilità di rinnovo biennale. E sul tavolo del confronto è spuntata l'idea di una sorta di partnership, soluzione che legherebbe le parti in modo più forte e con un orizzonte più definito.

Ma non è semplice mettere d'accordo tutti sulla fattibilità dell'operazione, a cominciare dai rispettivi apparati burocratici ai quali si aggiungono i consulenti. Perché, dall'esterno, l'impressione è che se dipendesse soltanto dai vertici della Tv di Stato e da quelli dell'amministrazione di Palazzo Bellevue le perplessità in questione sarebbero già state superate (o quasi).

D'altronde, come non riconoscere alla Rai il ruolo decisivo esercitato nella cura del Festival, dagli albori fino all'enorme crescita esponenziale avvenuta in questo secolo? Il primo ad esserne convinto, consapevole, è il sindaco Alessandro Mager. Che, infatti, assieme all'assessore Alessandro Sindoni si sta adoperando per cercare un punto d'incontro tra la rivendicazione del peso specifico acquisito dal format, specie nelle ultime edizioni con l'appendice del palco in piazza Colombo, e la titolarità del doppio marchio (Festival della canzone italiana e, il più diffuso, Festival di Sanremo) in capo al Comune, diventata oggi una potente arma a doppio taglio.

La battaglia legale seguita al verdetto del Tar ligure che - di fatto - ha imposto l'assegnazione dell'evento tramite gara pubblica, bocciando così il reiterato sistema delle convenzioni, ha attribuito notevole valore al segno distintivo che Palazzo Bellevue protegge da anni, ma nel contempo ha fatto infuriare l'ente di viale Mazzini, fin dalla decisione sanremese d'indire una manifestazione d'interesse (ma cos'altro poteva fare la giunta, peraltro infarcita di avvocati, a fronte del pronunciamento di un tribunale amministrativo?), alla quale ha poi partecipato obtorto collo. L'unico broadcaster ad averlo fatto, tra i possibili pretendenti del livello richiesto, pur mal sopportando le pretese economiche ed i paletti posti dal Comune.

E ora, nel gioco delle parti, c'è chi fa filtrare che un pezzo del Cda si sarebbe pentito della scelta. Come se ne avesse avuta a disposizione un'altra, volendo proseguire la straordinaria storia festivaliera. L'alternativa era quella di mandare a monte, tout court, un invidiato matrimonio di convenienza che dura da 75 anni e garantisce enormi introiti pubblicitari, assieme ai benefici spalmati sui palinsesti. E, quindi, compiere un salto nel buio con il cosiddetto piano B agitato per spaventare la controparte: inventare un altro Festival musicale in un'altra città (da qui il lungo e stucchevole elenco di potenziali pretendenti), non potendo usare il nome Sanremo e neppure la dicitura della Canzone italiana.

Se è vero, a tutti gli effetti, che mamma Rai è stata determinante nella crescita della kermesse, la quale ha vissuto anche momenti di profonda crisi come negli anni '70 (quando si articolava in tre serate, e nel '73 ci si era ridotti alla diretta televisiva della sola finale), è anche vero che la storia e il fascino della città hanno fatto il resto, contribuendo al consolidamento di quell'alchimia unica, irripetibile in eventuali nuovi scenari “minacciati”.

Per questi motivi, al di là dell'arrabbiatura (eufemismo) filtrata da Roma, il matrimonio continuerà. A meno di colpi di scena, di cui oggi non si ravvisano prodromi. Ma con la rinuncia a qualcosa da parte di Sanremo - tanto o poco si vedrà - con vista su 2026 e oltre (immancabilmente c'è chi rilancia l'idea, mai perseguita davvero, del Palafestival da costruire per rimpiazzare l'Ariston). Non sarà, come impropriamente azzardato da qualcuno, quel fastidioso 1% minimo sui ricavi pubblicitari, perché toccare parametri base della manifestazione d'interesse significherebbe esporsi al rischio inevitabile di ulteriori ricorsi, oppure la partecipazione diretta ai rimborsi per le case discografiche (come sarebbero giustificabili nel bilancio comunale?) che ne lamentano la ristrettezza a fronte di alti costi (in primis per il soggiorno), ma altro di cui ora si stanno studiando contenuti e sostenibilità.

Far convivere, appunto, marchio e format dentro un contratto molto articolato, complesso e di lunga gittata: cinque anni se si pensa all'opzione rinnovo dopo il periodo 2026-2028. E insieme vanno considerati altri aspetti apparentemente di contorno ma importanti, soprattutto dal punto di vista economico, se valutati in un quadro d'insieme (ad esempio gli investimenti per produzioni extra-Festival).

Mager, appena tornato da una vacanza in Alto Adige, non deroga al silenzio che si è imposto fin dal primo giorno in questa fase così delicata (idem Sindoni), tenuto conto che si tratta del negoziato di una gara pubblica con in ballo un'assegnazione alla quale sono legati interessi giganteschi, una strada mai percorsa prima della sentenza che ha cambiato le abituali traiettorie festivaliere. Ma ai suoi il sindaco trasmette ottimismo. Sa che Sanremo non può stravincere facendosi forte delle sentenze che le riconoscono la piena titolarità del marchio, indipendentemente dall'architettura artistico-commerciale che connota l'evento, se non correndo il pericolo di perdere davvero il Festival così com'è (e come potrebbe continuare con eventuali altri broadcaster?), per cui è disposto ad accontentare la Rai su aspetti negoziabili, praticabili.

D'altronde, c'è anche il senatore sanremese Gianni Berrino (FdI), componente della Commissione di vigilanza sull'ente radiotelevisivo, a suggerirgli di non preoccuparsi di lasciare qualcosa nel piatto pur di salvare non il bilancio comunale, tutt'altro che a rischio tanto da godere di un ampio avanzo di amministrazione, ma quello della città su cui si spalmano gli straordinari effetti festivalieri in termini economici e d'immagine. Come dire: non esistono colori politici, maggioranza e opposizione, se in gioco c'è un patrimonio pubblico fondamentale, unico nel suo genere, da proteggere a qualunque costo.

Quanto ai discografici che battono cassa e lamentano costi elevati nelle strutture ricettive che accolgono artisti e addetti ai lavori, le categorie degli albergatori si sono riunite per rassicurare che non sono previsti rincari delle tariffe legate alle prenotazioni in vista dell'edizione 2026, spostata a fine febbraio per evitare di sovrapporsi con la copertura tv delle Olimpiadi di Milano-Cortina. In ogni caso, l'assessore Sindoni si è già reso disponibile a un'azione di “moral suasion” fra gli operatori dell'accoglienza affinché non siano applicati prezzi esagerati, potendo il Comune soltanto accendere un faro sulla questione ma non di certo imporre diktat al libero mercato.

Com'era scontato, il clima vacanziero di Ferragosto ha rallentato i contatti sull'asse Roma/Sanremo, dopo settimane "infuocate" come forse più delle attuali temperature, ma il negoziato va avanti con la definizione di aspetti formali, che concorrono però alla costruzione di quelli sostanziali. E con la prospettiva di arrivare all'agognata intesa entro la prima metà di settembre, mentre Carlo Conti è già al lavoro a prescindere, dopo che è saltata la ventilata (presunta) "deadline" d'inizio agosto.

Gianni Micaletto

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