Un’ennesima e definitiva conferma della solidità dell’indagine svolta dai carabinieri del Comando di Asti e dalla Direzione distrettuale antimafia di Torino, che nel maggio 2018 fece emergere gravissime infiltrazioni criminali nel tessuto sociale di Costigliole d’Asti, è giunta dalla Corte di Cassazione, chiamata a esprimersi in merito ai ricorsi di cinque condannati nei gradi di giudizio precedenti che – a differenza di altri 21 coimputati i quali avevano optato per tipologie di procedimento che consentono di ottenere pene più lievi, come il patteggiamento o per il rito abbreviato – avevano deciso di farsi giudicare secondo il rito ordinario.
IL PRONUNCIAMENTO DELLA CASSAZIONE
La Suprema Corte – che, lo ricordiamo, non riesamina gli elementi già dibattuti nei precedenti gradi, ma bensì verifica la corretta applicazione dei principi di legge – ha rigettato le richieste avanzate dai legali degli imprenditori edili Fabio Biglino e Alberto Ughetto (condannati a 7 anni e sei mesi di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa ed estorsione), dell’agricoltore e già consigliere comunale Mauro Giacosa e dell’imbianchino e allenatore di calcio Sandro Caruso.
Entrambi condannati a 4 anni e 10 mesi per estorsione aggravata dal metodo mafioso, che però nel caso di Caruso – già noto alle cronache per una discussa amicizia con Michele Buoninconti, condannato in via definitiva per l’omicidio della moglie Elena Ceste – sono aumentati a 6 anni e 8 mesi a causa di una recidiva.
I giudici romani hanno accolto soltanto la richiesta di annullamento della condanna a sei anni e 9 mesi inflitta in Appello a Franco Marino, ritenuto dagli inquirenti il ‘corriere’ tra l’Astigiano e la Calabria, che in primo grado era invece stato assolto dai giudici astigiani.
COSI' LE 'FAMIGLIE' DELLA 'NDRANGHETA SI ERANO INFILTRATE IN PAESE
L’operazione “Barbarossa” ha consentito agli investigatori dell’Arma di accertare che a monte di una serie di inquietanti episodi verificatisi in paese, con auto date alle fiamme e proiettili esplosi contro le vetrine di alcuni negozi e altre attività commerciali, vi era un sottobosco criminale collegato alla famiglia Stambè. I quali, giunti dal vibonese come braccianti agricoli e muratori, avevano ben presto acquisito ‘spessore’ diventando di fatto un importante punto di riferimento per la criminalità locale.
Anche grazie al forte legame con Rocco Zangrà, ritenuto dagli inquirenti il capo della ‘locale’ ‘ndrina (ovvero cosca malavitosa) con collegamenti diretti con i boss delle ‘famiglie’ calabresi, che dalla sua abitazione di Piana Biglini (Alba) controllava e gestiva le attività illecite in una vasta area compresa tra l’Albese e l’Astigiano.
‘Affari’ che spaziavano dall’ambito edilizio alle estorsioni, dallo smercio di stupefacenti a quello di armi, non disdegnando il controllo di società di calcio a Costigliole e nel capoluogo di provincia, con la piena consapevolezza che lo sport è spesso un ottimo ‘cavallo di Troia’ per infiltrarsi nel tessuto sociale di un territorio con l’obiettivo di gestirlo.
IL NUOVO CORSO DELLO SPORT COSTIGLIOLESE
Un oscuro passato, dal quale l’attuale Amministrazione costigliolese ha preso totalmente le distanze sia costituendosi parte civile nel processo e sia affidando la società sportiva a una delle vittime del sodalizio criminale, che deve servire da monito per scongiurare il rischio che in futuro possano verificarsi episodi simili.
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