Il Nazionale

Cronaca | 29 maggio 2023, 18:30

Vita in carcere, a Torino lavoro vuol dire futuro: i detenuti e la manutenzione dei modem [VIDEO]

A gestire l’attività presso la casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino la Service Trade

Vita in carcere, a Torino lavoro vuol dire futuro: i detenuti e la manutenzione dei modem [VIDEO]

Lavorare per un detenuto è importantissimo: nonostante i miei errori, ho ancora la speranza di ripartire”. Ad affermarlo è Simone, uno dei detenuti che all’interno del carcere Lorusso e Cutugno di Torino smonta e rimonta modem, etichette elettroniche. Qui, “dietro le sbarre”, Simone ha imparato un lavoro. Un lavoro che spera possa aiutarlo, una volta scontata la pena, a ricominciare.

Lui, uno tra i più giovani, è tra i detenuti che lavorano per la Service Trade, azienda specializzata in servizi post-vendita scelti dai principali Brand dell'elettronica. Nel carcere di Torino due sono i clienti principali di Service Trade: Tim, per la manutenzione dei modem di rete fissa, e Pricer, per la riparazione delle etichette elettroniche utilizzate nei supermercati.

Simone: “Il lavoro mi dà speranza”

Gli occhi di Simone, quando parla di lavoro, si illuminano per un attimo: “E’ una leggerezza che ti aiuta a superare il contesto. Ho imparato qui a fare questo lavoro, è un’esperienza nuova che spero mi possa aiutare a reinserirmi nella società fuori. E’ importante poter guardare al futuro, ti dà una speranza”. Lavora da cinque mesi circa e questa è la sua prima attività lavorativa che svolge nella casa circondariale. Tanto gli basta per consigliare questo percorso anche ad altri detenuti come lui: “Credo che ognuno dovrebbe avere la possibilità di lavorare per rientrare nella società: ora spero in un futuro diverso. Nonostante i miei errori, ho la speranza di ripartire”.

“Lavorare mi fa sentire normale”

Al suo fianco, tra una batteria da smontare e un modem da pulire c’è Manuel (nome di fantasia). Anche per lui lavoro in carcere è sinonimo di normalità, di speranza: “A livello personale mi sento valido, utile. Quando ho iniziato a lavorare mi sono sentito in un luogo che emana una sensazione di lavoro simile a quella che avevo quando stavo fuori. E’ stato fantastico, mi ha aiutato molto”.

Spero possano esserci altri progetti del genere, per dare la possibilità a un detenuto di cimentarsi, mettersi alla prova, ricredere in sé stessi, e sentirsi realizzati”. Concetti normali per chi vive fuori da un carcere, meno ovvi per chi trascorre le giornate all’interno di una cella.

Bonazzi: “Il carcere è parte della società”

Chi ha voluto dare a questi ragazzi e uomini una possibilità è Paolo Bonazzi, presidente Service Trade: “Nel carcere di Torino svolgiamo il lavoro nello stesso modo in cui lo facciamo negli altri nostri laboratori”.

“Lavorare all’interno di un carcere - racconta Bonazzi - è come lavorare fuori: è parte della società, non un retrobottega di cui non si deve parlare. Il lavoro che facciamo è identico per dignità e qualità a quello che fa il nostro laboratorio in provincia di Vicenza”.  D’altra parte, come ricordato dallo stesso presidente di Service Trade, è la Costituzione stessa a citare concetti importanti come il lavoro e la dignità, anche per chi sta in carcere.

“Tutti necessitano di avere una seconda possibilità”

I detenuti sono ogni giorno a stretto contatto con Anselmo Barbieri, che per Service Trade si occupa della supervisione dei progetti negli istituti di pena. “Per loro è un vero premio avere ottenuto un lavoro, escono da un quotidiano di violenza e sopportazione. Da spazi angusti e persone che non sono quelle che scelgono”.

“Tutti necessitano di avere una seconda possibilità e noi cerchiamo di dargliela: non gli insegniamo un lavoro specifico, ma gli insegniamo a rientrare in un contesto di gruppo, a dimenticare il quotidiano dell’istituto di pena, imparano a relazionarsi, a rispettare gli altri, il lavoro e gli impegni” racconta Barbieri.

Quasi commosso, il supervisore ricorda delle telefonate ricevute da ex detenuti, che una volta usciti si sono ricordati di lui e dei momenti passati insieme: “Ti chiamano, ti augurano buon compleanno o buone feste. Vuol dire che hai creato un legame che in teoricamente non si dovrebbe creare: siamo abituati a vivere in un mondo di ‘buoni’ e ‘cattivi’, ma non è sempre così. E’ gente che ha sbagliato, ma chi è qui ha capito di aver sbagliato e sta cercando di ripartire”. 

E anche i carcerati, a volte, possono insegnare qualcosa a chi vive in libertà. “Da loro ho imparato che errare è umano, non si può mai dire ‘io non l’avrei fatto’. Può capitare a tutti di sbagliare, senza ombra di dubbio c’è sbaglio e sbaglio ma bisogna dargli una seconda opportunità. C’è chi se la merita, chi per cultura o errore non la merita. Ma questo non vuol dire che non bisogna provarla a dare a chi la vuole, a chi la merita”.

Andrea Parisotto

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