Il Nazionale

Cronaca | 30 aprile 2023, 11:47

Assassinato per un debito di dieci euro: l'origine della lite che ha portato all'omicidio di via Polleri

Dall'ordinanza di custodia cautelare emergono i dettagli di quel pomeriggio. Oltre alla pistola il camallo aveva con sé un coltello e un tirapugni

Assassinato per un debito di dieci euro: l'origine della lite che ha portato all'omicidio di via Polleri

Assassinato per un debito di 10 euro. Dall'ordinanza di custodia cautelare della giudice per le indagini preliminari Elisa Campagna, che ha convalidato l'arresto e la detenzione in carcere per Filippo Giribaldi, emergono i dettagli del pomeriggio del 25 aprile al Carmine, dove il camallo quarantaduenne ha ucciso con un colpo di pistola Manuel Di Palo, 38 anni, ex militante di Casapound. 

Come già ampiamente emerso, Giribaldi, difeso dall'avvocato Paolo Scovazzi, ha confessato il delitto dicendo agli inquirenti di averlo fatto per motivi passionali. Tra Di Palo e Giribaldi c'era infatti una donna abitante in via San Bartolomeo che frequentava entrambi in cambio di stupefacenti. Quello che finora non era emerso è che la discussione tra Giribaldi e un terzo uomo, anche lui quel giorno a casa della donna, era iniziata per un debito di 10 euro. La donna ha riferito di aver udito "un colpo sordo a cui seguiva un battibecco", protagonisti Giribaldi e il terzo uomo "avente ad oggetto un prestito di dieci euro". Il primo colpo di pistola Giribaldi lo ha infatti sparato contro il muro sotto l'abitazione della donna durante la discussione con il terzo uomo. Solo dopo Di Palo è sceso andando incontro al proprio destino.

Arrivati in via Polleri, a poche centinaia di metri dall'abitazione della donna, Giribaldi e Di Palo hanno litigato, l'ex militante di Casapound avrebbe colpito con un pugno il camallo che per tutta risposta ha estratto la sua Beretta calibro 22 sparandogli un unico colpo mortale al cuore. Giribaldi ha subito confessato il delitto, prima al sacrestano della vicina chiesa dell'Annunziata, poi agli agenti intervenuti e alla pm Eugenia Menichetti. "Alla vista degli agenti - si legge nell'ordinanza di custodia cautelare - si consegnava spontaneamente senza opporre resistenza".

Nonostante indossasse guanti da lavoro, quindi ipoteticamente allo scopo di coprire le impronte, forse proprio per aver subito confessato l'omicidio, la procura ha da subito escluso l'ipotesi della premeditazione. Dagli oggetti rinvenuti durante la perquisizione sul posto è chiaro però che avesse intenzioni non pacifiche per risolvere la situazione. "Giribaldi - scrive la giudice Elisa Campagna - veniva trovato in possesso di diversi oggetti atti ad offendere: un tirapugni, un coltello con tirapugni incorporato, una bomboletta contenente spray urticante e una cintura modificata in modo da arrecare offesa a terzi". La pistola l'aveva nascosta sotto un'auto in piazza Bandiera, ma è stato lo stesso Giribaldi a guidare gli agenti della Volante diretti da Maria Teresa Canessa por trovare l'arma.

Nel motivare la decisione di rinchiudere in carcere Giribaldi, la gip afferma che c'è un rischio di reiterazione del reato "desumibile in particolare dalla stessa condotta del Giribaldi caratterizzata da una violenza spropositata, evidentemente sintomatica della totale incapacità dell'indagato di reagire con l'ausilio degli ordinari freni inibitori al dissidio avuto con la persona offesa, dalle modalità di commissione del fatto (posta in essere in pieno giomo, nel centro cittadino, con l'utilizzo di una pistola dotata di munizionamento e di un secondo caricatore che l'indagato aveva portato con sé, con potenziale grave pericolo per l'incolumità di altre persone) e della stessa personalità del prevenuto, gravato da un precedente penale per minaccia: tutte circostanze che, complessivamente considerate, rendono concreto ed elevato il pericolo di recidivanza.

In particolare ciò che più preme evidenziare sotto il profilo delle esigenze cautelari è, da un lato, la gravità inusitata del gesto a fronte dell'assenza di reali motivazioni che lo sorreggano (se non quella, riferita dal prevenuto e che ha dato origine al dissidio, di voler stare da solo con la Zollo a consumare stupefacenti) e, dall'altro, l'estemporaneità del litigio (tenuto conto che, stando alle dichiarazioni dello stesso indagato, il Giribaldi non aveva avuto precedenti dissapori con il Di Palo, che aveva visto solo poche volte in precedenza, e dunque il proposito criminoso del prevenuto non poteva essere appesantito da alcun sentimento di rabbia, frustrazione o rancore precedente).

Si tratta di elementi che, unitariamente considerati, rendono il pericolo di recidivanza concreto, attuale ed elevatissimo in quanto consentono di inferire che la pericolosità del Giribaldi non si esaurisca con la condotta perpetrata, essendo verosimile che egli, per futili motivi quali quelli che sembrano aver innescato in lui una così violenta reazione e verosimilmente aggravati dalla condizione di tossicodipendenza in cui versa, possa commettere altri delitti di gravissimo allarme sociale analoghi a quello per cui si procede".

Francesco Li Noce

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