A Masnago va in scena la Restaurazione. E prima o poi doveva capitare. Anzi: è già capitato, capiterà ancora.
La difficoltà non è ammetterlo, è spiegarlo.
La Restaurazione al potere, ovvero Reggio Emilia a braccia alzate, è la vittoria di un basket più lento e organizzato, ma non così tanto (74 possessi per Varese, molti meno del solito, ma 76 per Reggio, più del solito).
È la vittoria di una difesa che concede poco, dura, attenta e organizzata, contro una difesa che concede troppo e stavolta non trova contromisure offensive a sopperire.
È una giornata storta al tiro, ma nemmeno le percentuali dicono tutto: a) perché pure la Unahotels non ha tirato così bene (21% contro 26 da oltre l’arco) e b) perché solo a tratti la squadra di Brase si è costruita dei tiri facili; molto più spesso, invece, si è dimostrata incapace di trovare le “sue” soluzioni, frettolosa e irretita dagli avversari, dagli arbitri e anche un po’ da se stessa.
Una Varese brutta.
Una bruttezza che è un po’ il contrappasso della stagione: quando perde, e perde sempre o quasi nello stesso modo, quel gioco così insofferente alle regole e ai limiti, così arioso e veloce, anarchico e per questo affascinante e libero, mostra inesorabilmente il lato B.
Perché regole e limiti aiutano, nelle giornate no.
Ma la Restaurazione è stata anche la sofferenza a rimbalzo - peraltro già scritta nel dna della gara (non c’è statistica più falsa di quella dei rimbalzi totali: a contare è la percentuale dei rimbalzi presi, nella quale la Openjobmetis è solo 13esima) - e soprattutto una differenza fisica incolmabile. Alla stregua di quella provata contro avversarie ben più quotate dell’attuale Reggio.
Sakota - che pure non ha avuto timore di leggere il match e in alcuni momenti di estremizzarsi nel senso opposto, ovvero giocare senza centri - è partito con Hopkins da 4 e Diouf da 5, vicini a un 3 mastodontico come Olisevicius.
Questa la vera Restaurazione, questo il vero Stelvio, non pedalabile dai biancorossi.
Varese ha subito la fisicità altrui ovunque: sotto canestro in modo evidente, ma anche sugli esterni, mai capaci di saltare i dirimpettai. E così in difesa, dove la disattenzione ha fatto il resto.
Nella Restaurazione c’entra la mancanza di Reyes? Purtroppo no: il portoricano sarebbe stato sì un corpo in più da mettere in difesa, ma sarebbe stato spazzato via come gli altri, probabilmente.
Perché è un giocatore che si trascina per il campo da due mesi, che non ha mai recuperato davvero dal suo infortunio, che ha perso buona parte di quell’atletismo necessario, ancor più alla Openjobmetis piuttosto che a lui, a fare la differenza partendo da una conclamata atipicità.
No Reyes non è mancato oggi: Reyes manca sempre, ormai.
E allora forse questo nuovo stop fa suonare l’ultima sveglia per la società: o lo cambi ora, o non lo fai più. Chi a dicembre ha optato per il no ha avuto mille ragioni: ci chiediamo se sussistano - tutte - ancora oggi.
Commenti