Dal 73-75 firmato dalla distanza da Della Valle al 77-75 segnato in contropiede, dopo palla persa, dalla stessa guardia della Germani, passano una manciata di secondi. Sono sette punti subiti, sono i sette punti che girano il match.
Il timeout di Brase arriva solo quando ADV ha depositato nel canestro il layup. Tardi. Non si è perso per questo, per amor del cielo, ma l’episodio è paradigmatico di quanto stasera, a Varese, siano mancate esperienza, furbizia e attenzione. Quelle sì, veramente small.
Più forte la consapevolezza di aver tenuto testa a Brescia sul suo campo o la rabbia di esserne usciti a mani vuote? Difficile scegliere. Per 25 minuti è andata in scena una prova addirittura migliore rispetto a quella di domenica scorsa: corsa e triple a nascere da una prima linea difensiva tentacolare, in cui i corpi e le mani di Brown, Woldetensae e Johnson, perfettamente intercambiabili, sono risultati un rebus per un’avversaria che ha rinunciato completamente ad abbassare il ritmo e a colpire con i missmatch, adeguandosi al gioco ospite.
Pareva la trappola perfetta, nonostante un Owens molto meno influente e preciso dei compagni esterni (un po’ meglio Caruso, almeno nel primo tempo) e l’apatia totale di Reyes. Se difende così, in attacco poi Varese va quasi da sola, sorretta dal talento che quest’anno fortunatamente non manca.
Ma non si può pensare di non essere costretti al punto a punto e al corpo a corpo su un parquet del genere: devi aspettarti che Brescia rientri, devi essere preparato, devi saper reagire. Riagganciata, invece, la Openjobmetis si è smarrita, ha perso lucidità nelle piccole e nelle grandi cose, in campo e in panchina. Ha personificato uno degli incubi estivi: la tenerezza di spirito derivante da una mentalità non abituata a certi ambienti, a certe esigenze e a certe situazioni.
Sarebbe bastato un errore di Ross in meno (davvero poco lucido nel finale), o di Brown (anche lui davvero imbabolato alla fine), o un timeout più pronto, o una marcatura diversa sul mattatore Petruccelli: vero che sono in tanti quelli che l’hanno sofferto, Brown compreso, ma Reyes è parso davvero la carta sbagliata del mazzo per contenere l'oriundo.
E allora rispondiamo a modo nostro alla domanda iniziale: perdere così, a inizio campionato, è proprio una gran cosa. Perché ti insegna che l’uomo, come sostenevano i latini, è faber fortunae suae, è artefice della propria fortuna.
Che Varese possa esserlo, anche senza avere un big men stile Onuaku o Cobbins, anche giocando con una guardia da quattro, rimane una bellissima notizia. I rimpianti nell’animo e l’incazzatura nel cuore sono meglio molto meglio della disillusione.
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