#DiscoverTete, scoprire Tete, significa anche scoprire Varese.
Perché capita sempre più di rado, va ammesso, ma a volte i social riescono ancora a essere qualcosa di diverso e di migliore di una semplice esibizione di sé stessi. Pensi di sapere tanto di un campione come Nicolò Martinenghi e poi, un giorno, con il dito che scorre su Instagram tra storie e profili, ti imbatti in un video che sfalsa improvvisamente certezze e coordinate.
Un video (vedi qui) in cui il campione del mondo, il bronzo olimpico, una delle realtà più concrete del presente e del futuro del nuoto italiano, parla al mondo (85 mila follower non sono certo pochi…) di una cosa che per te è importantissima, ma lo è evidentemente anche per lui: Varese e la sua provincia.
E lo fa in un modo che non ti aspetteresti da un 23 enne (il compleanno lo scorso 1° agosto: auguri) che sta girando il globo e ha mille metri di paragone. Un modo che ti fa riflettere, un modo che ti inorgoglisce: «Varese è casa. E io non immagino la mia vita lontano da qui». E ancora: «Non vivrei mai da un’altra parte: qui nel giro di pochi minuti puoi fare mille cose diverse… Dobbiamo essere sinceri, non ci manca niente…».
E quindi le passeggiate in centro «a incontrare la mia gente», le puntate allo storico Pirola, che per lui è una casa nella casa (è di sua zia Rosi), il lago e il Sacro Monte, «da cui si vede anche Milano…». E infine questa frase: «Non è Varese unica, ma è Varese che ci rende unici».
Conviene proprio approfondire. Anzi, scoprire ancora qualcosa.
Nicolò, perché Varese ci rende unici?
«Giro il mondo e conosco tante persone, sia straniere che italiane, che vengono dal medesimo posto: tra loro, spesso, si assomigliano molto. Ai varesini e ai varesotti questo non capita: siamo tutti innamorati del nostro territorio, anche se a volte lo critichiamo, ma la pensiamo e la vediamo in maniera molto diversa l’uno dall’altro. E questo ci rende unici… Forse accade anche perché i varesini e i varesotti non sono la stessa cosa…».
Che differenza c’è, a parte la "residenza"?
«Beh, lo stai chiedendo a un varesotto (Nicolò è di Azzate) che ama identificarsi con i varesini… Penso che i varesotti amino Varese ma preferiscano viverci al di fuori, mentre ai varesini piace viversi la città tutto il giorno».
Spesso le due categorie vengono divise anche dalle passioni sportive, ma su di te trovano un “accordo”…
«È vero effettivamente. E questo è bello e mi rende orgoglioso».
Nel video di “Discover Tete” alla fine esclami anche: «Bisogna essere sinceri, qui non ci manca niente…». Non tutti i nostri giovani la pensano così, concorderai…
«Ci sta che alcuni giovanissimi non lo capiscano, fa parte dell’età. Quando però vai avanti e inizi ad avere delle esigenze diverse, allora ti accorgi che è vero».
Quali sono i luoghi della città e della provincia cui è più affezionato Nicolò Martinenghi?
«Il primo è il Pirola, senza alcun dubbio…».
Facilissimo, lì giochi davvero in casa: tua zia ne è la colonna portante.
«Mi piace tutto di quel locale: il contatto umano con i clienti, che siano abituali o nuovi, ascoltare le storie del passato, respirare la tradizione… A volte vedo lì anche il mio futuro, dopo il nuoto…».
Questa è una notizia.
«È nella storia della mia famiglia e mi piacerebbe far parte di questa tradizione, poterla tramandare. Dico di più: ho anche pensato di aggiungere il cognome Pirola a Martinenghi a un certo punto, perché mio nonno ha avuto due figlie femmine e non vorrei che questo cognome si perdesse…».
Oltre al Pirola, quali altri luoghi del cuore?
«Villa Mylius e il suo chioschetto, un posto dove davvero riesci ad assaporare il verde: lo adoro anche perché ci lavora il fratello della mia ragazza. E poi i laghi, soprattutto quello di Monate dove vado spesso, e il Sacro Monte, per il suo panorama incredibile».
Avrai sentito del ritorno alla balneabilità nel lago di Varese: ci farai un tuffo?
«So che alcuni sono un po’ scettici, ma in fondo penso che sarebbe bello poter dire di averci fatto il bagno, prima o poi…».
Quando Nicolò Martinenghi afferma di essere di Varese, che reazioni ottiene dagli altri?
«Gli italiani la conoscono, molti grazie al basket. E hanno sempre una bella reazione. A chi viene dall’estero devo sempre aggiungere che Varese si trova vicino a Milano e a Como, perché tutti hanno sentito parlare del lago di Como: sarebbe bello che un giorno succedesse anche alla nostra città…».
Hai citato il basket, il tuo primo sport: che tipo di giocatore eri?
«Molto eclettico: dove mi mettevano, stavo. Ed ero soprattutto un giocatore che faceva gruppo: la dimensione dello “spogliatoio” mi manca tanto nel nuoto, che non la possiede».
Giocatore e tifoso della Pallacanestro Varese: l’idolo di sempre?
«Jack Galanda: da piccolo sono riuscito a strappargli un cinque ed ero risoluto a non lavarmi più la mano…».
L’emozione più grande vissuta al palazzetto?
«Gara 7 di semifinale nel 2013, contro Siena. Un’emozione agro-dolce: abbiamo perso e c’è stata quella contestazione dagli spalti, ma è stato davvero bello vedere come il basket fosse capace di unire una città intera…».
Ma allora di Varese non cambieresti proprio nulla?
«Sì, una cosa la cambierei, e ha a che fare con il mio settore: manca il supporto logistico per gli atleti del nuoto. Per trovare una vasca di 50 metri io devo muovermi tutti i giorni o verso Legnano o verso Milano. E allora spero che una città che vive di sport come Varese si accorga presto di questa mancanza, anche se immagino non sia la prima preoccupazione…».
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