Il Nazionale

Cronaca | 02 agosto 2022, 17:07

Processo Breakfast, Scajola in aula il 27 settembre per l'Appello: "Finalmente hanno fissato l'udienza. Produrremo elementi che dimostreranno la mia estraneità alle accuse"

Il presidente della Provincia e sindaco di Imperia è stato condannato nel gennaio 2020 a 2 anni di carcere, pena sospesa, per aver aiutato nella latitanza l'ex parlamentare Matacena. Il reato è già prescritto, ma la difesa punta "all'assoluzione nel merito"

Processo Breakfast, Scajola in aula il 27 settembre per l'Appello: "Finalmente hanno fissato l'udienza. Produrremo elementi che dimostreranno la mia estraneità alle accuse"

"Finalmente hanno fissato l'udienza e in aula produrremo ulteriori elementi. Sono assolutamente estraneo a questa accusa e sono nel contempo molto fiducioso. Quanto produrremo dimostrerà l'estraneità rispetto a quanto contestato". Così al nostro giornale il sindaco di Imperia, Claudio Scajola, commenta la fissazione il 27 settembre del processo di secondo grado dinanzi ai giudici della prima sezione della Corte d'Appello di Reggio Calabria.

Ad oltre due anni e mezzo dalla sentenza emessa dal Tribunale dello Stretto la Corte d’Appello ha fissato l’inizio del dibattimento di secondo grado per il primo cittadino e gli altri imputati del processo ‘Breakfast’ ossia Chiara Rizzo, ex moglie del parlamentare latitante a Dubai Amedeo Matacena, Martino Politi e Mariagrazia Foridelisi, rispettivamente ex collaboratore ed ex segretaria dei coniugi.

Scajola il 24 gennio del 2020 venne condannato dal collegio, presieduto dal giudice Natina Pratticò, a 2 anni di carcere pena sospesa, in quanto riconosciuto colpevole del reato di procurata inosservanza della pena e nello specifico di aver aiutato nella latitanza Matacena, ex deputato di Forza Italia, su cui pende una sentenza definitiva a 3 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Il Tribunale ha però escluso per Scajola l’aggravante relativa all’aver agevolato la ‘ndrangheta. Era stato lo stesso procuratore aggiunto, Giuseppe Lombardo, a chiederne l’esclusione ma per l’imputato aveva invocato quattro anni e sei mesi di detenzione. La Dda reggina ha deciso di non appellare la condanna per il primo cittadino imperiese, difeso dai legali Elisabetta Busuito, Giorgio Perroni e Patrizia Morello, ma ha presentato appello per gli altri imputati.

La condanna rimediata dalla Rizzo, assistita dal legale Candido Bonaventura, ammontava ad un anno di carcere ed è relativa solo al reato di procurata inosservanza della pena. Rizzo e Politi, difeso dagli avvocati Tonino Curatola e Corrado Politi, sono stati assolti dall’accusa di intestazione fittizia di beni, aggravato dall’aver agevolato la ‘ndrangheta.  Per l’altra imputata, Maria Grazia Fiordalisi, difesalegale Cristina Dello Siesto, il Collegio ha disposto l’assoluzione per il reato di procurata inosservanza della pena mentre ha disposto la prescrizione per l’altro capo di accusa.

 

Per la Rizzo il pm aveva richiesto una condanna a 11 anni e sei mesi di detenzione mentre era di 7 anni e sei mesi quella invocata per Politi e Fiordelisi. In aula sostanzialmente l’unico reato che è sfociato in condanne, ridimensionate di molto rispetto a quanto richiesto dall’Antimafia dello stretto, è quello della procurata inosservanza della pena. Per i giudici Scajola e Rizzo aiutarono  Matacena a sottrarsi alla giustizia italiana favorendo il suo spostamento dagli Emirati Arabi verso il Libano. Un tentativo di fuga che non si concretizzerà mai, ma che è costato a Scajola prima l’arresto e poi la condanna in primo grado.

La difesa dell’ex Ministro degli Interni quindi, ha appellato la decisione dei giudici di primo grado i quali nelle oltre mille pagine di sentenza scrissero che “non vi è dubbio alcuno che già l’aiuto, apprestato da Scajola e dalla Rizzo, in concorso con Speziali, consistente nell’attuare lo spostamento da Dubai in Libano si legasse funzionalmente all’intenzione dello stesso Matacena di sottrarsi alla cattura poiché attraverso quell’aiuto egli avrebbe potuto assicurarsi condizioni di vita o di sicurezza certamente maggiori di quelle di cui godeva a Dubai mentre, senza quell’aiuto, egli avrebbe dovuto procurarsele diversamente”.

 

Invece, per i legali di Scajola di dubbi ce ne sono tanti ed in particolare riguardano proprio la figura di Vincenzo Speziali Junior. Il giovane nipote dell’omonimo senatore per la Dda reggina sarebbe stato il trait d’union tra Matacena, Scajola e gli apparati libanesi. Speziali, che ha patteggiato per questi reati un anno di carcere con pena sospesa, si sarebbe adoperato attraverso le conoscenze intrattenute grazie allo zio, Amin Gemayel, l’ex presidente libanese. L’ex Ministro si è sempre difeso sostenendo “di essersi informato solo per una richiesta di asilo politico”. Per la difesa Speziali “era un millantatore"; inventava appuntamenti, telefonate, conoscenze, progetti, ma di concreto non fece nulla perché non era in grado di far nulla. Solo la Procura reggina lo ritiene attendibile. Basta rileggere – sottolineò durante il processo l’avvocato Busuito - le decine di telefonate in cui rimandava qualsiasi tipo di incontro e in qui si evince palesemente che tentava di prendere tempo e inventarsi circostanze. Le sue parole erano tutte 'fuffa'".

 

Per il collegio di difesa in sostanza non c’è mai stato alcun progetto di aiutare  il latitante e ciò lo si desumerebbe da un’intercettazione dell'aprile 2014 quando Scajola chiederà retoricamente allo stesso Speziali “e sono tutte sciocchezze le sue parole” e Speziali ammetterà di essersi inventato tutto”. Ossia i vari tentativi di comprendere se davvero Matacena potesse andare in Libano o meno.

Angela Panzera

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