«Abbiamo bisogno dei momenti belli ora, per non lasciarci sopraffare dal dolore».
Il ricordo della vita, nella celebrazione della morte, non è certo un’invenzione di questo triste pomeriggio odierno. Ma qui, oggi, nella chiesa di San Carlo a Varese, ricordare l’essenza più lieta e pura di Valentina Di Mauro è l’unica via per tentare di restare a galla in un mare in tempesta. L’unica flebile e incerta luce in un mondo di tenebre.
Nel giorno dei funerali (leggi qui) della 33enne uccisa dal compagno settimana scorsa è don Marco Casale a condurre i presenti nell’edificio sacro - i parenti nelle prime file di panche, le amiche vestite di nero e con gli occhi gonfi di lacrime e tutti coloro che hanno avuto anche solo un piccolo motivo per unirsi allo straziante saluto - in questo impervio cammino.
«Il sorriso di Valentina arrivava sempre prima di lei, era il suo modo di presentarsi e noi così la vogliamo presentare oggi al signore - esordisce il celebrante, dopo aver letto una pagina del Vangelo di Giovanni - Com’era Valentina? Qui, dove è nata e cresciuta, si è fatta apprezzare e voler bene. Era una ragazza che lavorava molto, ma trovava sempre il tempo per gli altri, a partire dai familiari: non si dimenticava mai di nessuno».
Per un attimo ecco che il tempo, anche quello dell'angoscia, sembra sospendersi. Le parole di don Marco riempiono, rendono plastica un’esistenza piena, meravigliosa, speciale. Ti ci attacchi: «Voglio ricordare quando veniva qui a prendere il nipotino, Giovanni: che amore, che attenzione aveva per questo bambino. Gli stessi che metteva nel suo lavoro da babysitter, gli stessi che denotavano il desiderio di famiglia che gli era cresciuto nel cuore».
E ancora: «Voglio ricordare la generosità di Valentina: non si tirava mai indietro quando c’era da aiutare qualcuno…. E poi voglio ricordare l’amorevolezza e la dolcezza che sempre dimostrava a sua madre e la complicità con la sorella Alessandra: si appoggiavano l’una all’altra».
«Signore, così ti presentiamo Valentina, anche se tu la conosci già. Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio: dov’è ora, non c’è più alcuna sofferenza per lei. Noi qui ci sentiamo impotenti di fronte alla violenza cieca e inaspettata, ma vogliamo andare avanti pensando a Valentina e al coraggio del suo sorriso: ci sarà tempo per la giustizia, doverosa, ma ora abbiamo solo bisogno di pensare al bello e buono della sua vita per non lasciarci sopraffare dal dolore».
La messa finisce. Il feretro viene scortato verso l’esterno, incontrandosi con il sole gravoso del primo giorno d’agosto: ad accompagnarlo un applauso che dall’interno della chiesa si propaga a chi da essa era rimasto fuori. Dei palloncini bianchi vengono liberati dai cordini e raggiungono il cielo.
Sulla bara si stringono i presenti. Gli occhi di tutti sono sui genitori di Valentina, sulla loro disperazione coperta da un velo di pudico contegno: sono sugli occhi buoni e persi di un padre, sono sull’ultima preghiera, cantata ad alta voce, alla ricerca di un aiuto anche da Maria.
Sono, infine, sulla tragica e inconsolabile tristezza di una nonna: le sue urla e il tentativo di sfogare incredulità e rabbia tolgono il fiato.
Perché l’appello di don Marco Casale, «pensare al bello e buono di Valentina per non lasciarsi sopraffare dal dolore» è una guerra che solo il tempo e la fede, per chi la coltiva, aiuteranno forse a vincere, sia a pur a prezzo di indicibili sforzi. Ma lo strazio del qui e ora, lo strazio di chi ha perso una ragazza di soli 33 anni, di chi se l’è vista portare via improvvisamente e ingiustamente da una mano impazzita e letale, è una battaglia che non si può vincere: si può solo perdere.
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