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Politica | 30 maggio 2022, 19:05

La cultura secondo Laforgia: «Il mio "pubblico" sono i varesini prima che i turisti...»

Intervista a 360 gradi all'assessore alla Cultura del Comune di Varese, a partire dalle strategie: «Non voglio cadere nel marketing territoriale, la cultura non è merce spendibile, va semplicemente valorizzata. Se i cittadini stanno bene, arriva gente anche da fuori...». Il bilancio delle visite a Palazzo Estense («ora entrino in un calendario»), il "ritorno" di Guttuso e il futuro del Politeama: «Resti quello che é fin dal nome: uno spazio polifunzionale»

La cultura secondo Laforgia: «Il mio "pubblico" sono i varesini prima che i turisti...»

Le proposte culturali dell’amministrazione di una città di provincia servono in primis ad allietare e riempire di senso la vita dei cittadini di quella città oppure devono avere come obiettivo primario una maggior attrattività della stessa agli occhi esterni? 

La domanda non è poi così peregrina: dallo scioglimento del dilemma dipendono infatti intendimenti e strategie. Enzo Laforgia, pur rifuggendo dicotomie estreme, sul tema ha le idee chiare, quantomeno relativamente al punto di partenza: «Il mio “pubblico” sono gli 80 mila varesini… Sono loro i primi destinatari delle mie azioni». 

61 anni, nato a Barletta, professore di Storia e Filosofia ma anche studioso, ricercatore, scrittore e formatore, Laforgia è una delle novità del Galimberti bis, giunta in cui è entrato dopo essere stato eletto consigliere tra le fila del Progetto Concittadino. Da assessore alla Cultura ha rinunciato a caricare sulle sue spalle anche la delega al Turismo: tornando a poco sopra, più che una decisione, una precisa scelta di campo.

 

Ci spiega perché, assessore?

«Per evitare di cadere, da titolare della Cultura, nel “marketing territoriale”, come accaduto a loro tempo ad altri colleghi… Tradurre la cultura o i beni che abbiamo in custodia in “merce”, non è nella mia visione, perché significherebbe ricavarne un’utilità di immediata spendibilità. Ben altra cosa è la valorizzazione. E se io riesco a valorizzare il patrimonio a mia disposizione, da un lato rendo più vivibile la città, dall’altro costituisco un elemento di attrazione per chi viene da fuori. Le visite a Palazzo Estense possono essere un esempio del concetto…».

In che senso?

«Non hanno una finalità commerciale, ma possono avere una ricaduta positiva anche in quell’ambito, perché - se inserite in un preciso calendario di eventi - danno la possibilità agli operatori turistici di proporre anche le loro offerte. Stessa cosa vale per le raccolte museali: quest’anno, con le domeniche a entrata gratuita, abbiamo avuto la coda fuori dal Castello di Masnago…»

Insomma il binomio turismo-cultura si costruisce a poco a poco e non (o almeno non solo) con i “grandi eventi”?

«I grandi eventi funzionano se chi arriva in un luogo ritiene poi che valga la pena tornarci. Perché il turismo vero non è fatto di flash, cioè si arriva e poi si va via. Giungiamo nuovamente al discorso di prima: se costruiamo il benessere per chi vive in città, la stessa diventa accogliente anche per chi la visita…»

Restando alla decisione di rendere visitabile la sede del Comune, ha pagato? 

«Sapevamo che avrebbe riscosso successo, ma non immaginavamo che in meno di 24 ore tutti i turni di tutti i giorni a disposizione sarebbero andati esauriti. D’altronde si tratta di una grande opportunità: portiamo le persone in sale mai visitate di Palazzo Estense, come l’ufficio del sindaco…».

Quali saranno i passaggi per rendere tale possibilità permanente?

«Bisogna trovare la continuità di chi accompagna i visitatori nel tour: oggi si tratta per la maggior parte di studentesse universitarie o neo laureate che svolgono il servizio civile. Per il futuro l’idea è quella di costruire un percorso comune con le scuole, le quali hanno sempre bisogno di avvicinare gli studenti al lavoro…».

A inizio mandato lanciò un’altra suggestione: portare la cultura nei quartieri. Ci sta riuscendo?

«Non è facile, per questioni organizzative soprattutto: le norme sulla sicurezza richiedono condizioni che spesso non si trovano nelle strutture a dimensioni ridotte. L’argomento però merita una seria riflessione in una città come Varese, nella quale il senso di appartenenza ai quartieri è ancora molto forte. Chi abita a Masnago, per esempio, dice “andiamo a Varese”: ciò che viene fatto in centro viene percepito a volte come lontano… Sono felice che gli organizzatori dell’Insight Foto Festival, per esempio, abbiano accolto il mio suggerimento e abbiano previsto iniziative anche a Bizzozero. Altri possono seguire: per decentrare può essere utile la rete dei nostri giardini, la polarizzazione particolare dei nostri musei o il fatto di avere l’Isolino Virginia, che dovrebbe “guardare” sempre più alla Schiranna…».

In che senso?

«Da anni si parla di un collegamento diretto… E il collegamento dovrebbe essere anche “culturale”, con Villa Mirabello nello specifico: la visita all’Isolino è suggestiva, ma la maggior parte del nostro patrimonio archeologico è conservata a Villa Mirabello. Bisogna creare un filo tra queste due realtà…»

Il varesino conosce davvero tutto quello che la città ha da offrire dal punto di vista culturale?

«Non penso: voi siete mai andati a fare una visita all’archivio storico del Comune? O nel deposito della biblioteca, dove il documento più antico che conserviamo risale al 1348? Recentemente abbiamo anche digitalizzato l’archivio fotografico pubblico: si tratta di un patrimonio immenso…»

Prima di essere nominato assessore, da privato cittadino, cosa pensava invece che mancasse (e magari manca anche oggi…) alla proposta culturale cittadina?

«Abbiamo sempre la tendenza a lamentarci, a sottolineare ciò che manca… e io non faccio eccezione. Credo manchi un’adeguata offerta di teatro in prosa, innanzitutto: ci vogliamo lavorare, già da quest’estate… E offerte musicali più variegate, anche se ne abbiamo una di grandissimo prestigio come quella comunale, gestita dal professor Fabio Sartorelli con artisti di richiamo internazionale. Infine manca una “mappa” di quello che succede, necessaria affinché gli utenti e gli operatori non debbano raschiare il mondo dei social per saperlo…»

A proposito di musica e di eventi che si ripetono nel tempo: due settimane fa avete presentato la quinta edizione del Varese Estense Festival…

«La storia della musica è una dimensione della nostra cultura che ha rischiato di perdersi. Un vero peccato: è fatta di strutture narrative molto interessanti e apprezzabili da un pubblico assai vasto. Il Varese Estense Festival continua a essere una scommessa molto ambiziosa, peraltro in un grande scenario naturale».

Parliamo di un’altra scommessa: il polo culturale, a partire dall’Archivio del Moderno, che sorgerà nell’ex caserma Garibaldi…

«Una scommessa straordinaria per una città con le dimensioni e il bilancio di Varese. Sarà un progetto che ci servirà a vincere la vera sfida del futuro: creare una Varese nella quale i giovani scelgano di restare o di ritornare, non di scappare. Una Varese nella quale valga la pena sviluppare il proprio progetto esistenziale».

E il nuovo Politeama?

«Deve rimanere quello che è già nel suo nome: uno spazio polifunzionale per una molteplicità di proposte teatrali o spettacolari. E non sarà necessario semplicemente avere un teatro, perché la verità è che siamo circondati da teatri: dobbiamo costruire proposte che caratterizzino l’offerta varesina e non siano una semplice replica di ciò che viene proposto a 20 o 50 km di distanza, magari in spazi più grandi…».

A giugno, assessore Laforgia, invece verrà riproposto Guttuso, nel ricordo di quella che è stata forse la mostra più partecipata di sempre a Varese…

«Sì e sarà un’opportunità nuova rispetto alla precedente: i quadri del Maestro verranno messi in “comunicazione” con la donazione che ci ha lasciato Nino Marcobi, grande collaboratore del Guttuso varesino. Questo ci darà la chance di scoprire la vera genesi di certi suoi capolavori».

Fabio Gandini e Andrea Confalonieri

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