E alla fine è arrivato il weekend elettorale, l’obiettivo dichiarato da parte di tutti, da chi è in corsa a chi segue la contesa. Sembrava lontano e invece ora è dietro l’angolo. Ancora poche ore di confronto, di reciproche accuse, poi sarà il momento del silenzio elettorale di 24 ore (per quanto abbia ancora senso nel 2025) prima dell’apertura delle urne, alle 7 di domenica mattina. E alle 15 di lunedì il verdetto. Che sia ballottaggio o primo turno lo diranno i numeri.
In estrema sintesi, Genova è chiamata a scegliere tra due strade agli antipodi: o la continuità con l’esperienza amministrativa del centrodestra con Pietro Piciocchi o la svolta verso il centrosinistra con Silvia Salis. Gli altri, va detto, sono tutti outsider alla ricerca di un exploit del tutto inatteso. Dal consigliere comunale uscente Mattia Crucioli (Uniti per la Costituzione) all’esordiente Raffaella Gualco (Genova Unita), passando per Francesco Toscano (Democrazia Sovrana e Popolare) e le due proposte della sinistra più radicale con Cinzia Ronzitti (Partito Comunista dei Lavoratori) e Antonella Marras (Sinistra Alternativa).
La narrazione del centrodestra, intenzionato a tenersi Palazzo Tursi all’insegna delle grandi opere e dei progetti da portare avanti, ha affondato le proprie radici nella lotta ai “signori del ‘no’” della sinistra, accusati di opporre resistenza a progetti come lo Skymetro o la Gronda. “Genova non può tornare indietro” è la frase che più si è sentita a ogni uscita dei rappresentanti nazionali o locali della coalizione di governo. Tanto da raggiungere l’apice con il “bivio” citato da Pietro Piciocchi durante l’evento di chiusura di campagna elettorale: “Da un lato la vita della nostra città, dall’altro la morte, l’immobilismo”. Sintesi perfetta.
Dall’altra parte della barricata, il centrosinistra ha puntato tutto sul cambiamento, dopo due amministrazioni di centrodestra che in una città come Genova sono un’eccezione storica non da poco. Al grido di “è già domani”, Silvia Salis in campagna elettorale ha indicato un futuro diverso per la città unendo attorno a sé una coalizione progressista mai così ampia: da Azione ad AVS, da Italia Viva al Movimento 5 Stelle. In mezzo quel Partito Democratico che porta in dote l’ampio successo cittadino alle regionali con 64.758 voti, pari al 29,72%, contro i 29.453 di Fratelli d’Italia (al 13,52% in città). Una somma di strategia elettorale e forza della novità per conquistare Genova e i genovesi.
È stata una campagna elettorale povera di idee, non lo si può ignorare. Fatta eccezione per le grandi opere e per qualche caposaldo ideologico delle due contrapposte fazioni, tutto il resto è stato concentrato nello scontro personale e furente tra Pietro Piciocchi e Silvia Salis. Attacchi personali, guanti di sfida, anche l’arma delle fake news. Il tutto a dimostrazione di come l’elezione del nuovo sindaco dopo il terremoto Toti e l’elezione di Marco Bucci in Regione non sia solo una scelta politica, ma una questione di campo: da una parte o dall’altra, noi contro loro, buoni contro cattivi.
Martedì pomeriggio sapremo se Genova avrà già un nuovo sindaco o se sarà necessario il ballottaggio. In quel caso, si tornerà alle urne l’8 e il 9 giugno, per il vero faccia a faccia tra Piciocchi e Salis, lo scontro a due, la sublimazione della contrapposizione tra due visioni completamente opposte della città.
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