“Troppi errori e difficoltà che avrebbero potuto essere chiarite con educazione e rispetto al posto dell’arroganza e della presunzione”. Questo è quanto dichiarano alla nostra testata dai familiari di C.M.A., una giovane donna in stato di gravidanza, di nazionalità rumena, protagonista nei giorni scorsi di una brutta disavventura in ospedale a Imperia.
I familiari si sono rivolti al nostro giornale in quanto la donna, alla 32esima settimana di gravidanza, non parla italiano, ma vogliono denunciare la vicenda chiedendo “che ciò non si verifichi mai più considerando che al centro della stessa vi è una giovane donna incinta”.
I familiari, anche attraverso una lettera inviata direttamente all’Asl 1, vogliono esprimere “disappunto e frustrazione per il trattamento ricevuto dal personale della struttura ospedaliera, in particolare dal reparto Ostetricia-Ginecologia”. Secondo quanto riferito tutto ha origine venerdì scorso quando la ragazza, residente a Sanremo, si è recata in Ostetricia in quanto aveva una visita programmata alle 9 del mattino.
Dopo aver eseguito gli esami e le analisi programmate, la dottoressa operativa in quel momento “ha rilasciato la paziente con un documento-verbale, si legge nella missiva, di accompagnamento che istruiva la stessa a ritornare presso il presidio per ricovero programmato alle ore 18 dello stesso giorno”. La paziente quindi è presentata all’appuntamento ed è stata sottoposta ad una visita e al test anti-covid che come da protocollo deve essere eseguito a chiunque venga ricoverato in ospedale. “Le è stato detto che c’era solamente un letto disponibile e tre pazienti in lista”, mettono nero su bianco i familiari che hanno provveduto a raggiungerla in ospedale.
“Sono salito senza alcuna forzatura presso il reparto di Ostetricia, dice il suocero, e dopo due ore di inutili attese in sala d’aspetto ho chiesto chiarimenti per sapere se si doveva attendere ulteriormente per il ricovero o se portare la paziente sofferente a casa sua. Nessuna risposta chiara ma solamente atteggiamenti arroganti” sarebbero stati invece, manifestati da una dipendente del pronto soccorso.
Sarebbe trascorsa un’altra ora “senza la più totale considerazione”. “Dopo un’ulteriore mezz’ora una dottoressa gentile ed educata, continua il congiunto, la fa entrare in ambulatorio. Sapendo che la paziente è di nazionalità rumena e si trova in Italia da circa un mese, ho avvisato il personale che la stessa non parla nè comprende la lingua Italiana. Non venendo preso in considerazione mi arrendo ai loro protocolli. Successivamente una dottoressa, o un infermiera, arrogante le ha chiesto se ha fatto il test anti-covid. La paziente, non capendo una parola risponde, semplicemente con un 'no grazie'. Questa conversazione l’abbiamo potuta ascoltare chiaramente al di fuori della porta del pronto soccorso. Quindi viene eseguito un secondo test alla paziente a distanza di due ore dal precedente”.
Dopo l’esecuzione del secondo test anti-covid il suocero della donna che, lo ricordiamo, non parla l’italiano, ha manifestato la propria contrarietà per quanto accaduto ed è nata una discussione tanto che questa “persona arrogante e presuntuosa mi ha risposto che se non mi allontanavo dall’area del pronto soccorso avrebbe chiamato i Carabinieri. Io ho risposto che se non li avesse chiamate lei, avrei certamente chiamato io le forze dell’ordine per violazione del protocollo sanitario in presenza di una paziente con barriere linguistiche, nonché esposizione della paziente a pericoli da azioni non verificate”. Sono intervenuti gli agenti della Polizia che sono riusciti a placare gli animi e “che con estrema gentilezza e calma si sono resi testimoni di una situazione del tutto scorretta ed un comportamento non conforme da parte dell’assistente sanitario. Il risultato è stato che la dottoressa gentile mi ha chiesto scusa davanti agli agenti, l’azione è stata verbalizza, e si è assunta la responsabilità per l’errore del doppio test anti-covid19 coprendo cosi il comportamento irresponsabile dell’altra assistente”.
Tra il personale sanitario e i familiari quindi sono terminati i contrasti e la paziente è stata ricoverata seppur dopo molte ore “in seguito ad emergenze ostetriche”, ma – come messo sempre per iscritto- il giorno dopo ossia sabato “la donna è stata trasferita al 'Gaslini' di Genova senza la cartella clinica di accompagnamento. Il personale sanitario si è adoperato per reperire la cartella clinica che veniva inviata con una verbalizzazione dei fatti completamente di parte e non corrispondente alla verità”.
In questa missiva, inviata alla nostra redazione, è stato infatti scritto che “la paziente è accompagnata da parenti che assumono un atteggiamento aggressivo nei confronti del personale ostetrico presente e non rispettano la regola di non sostare in sala d’attesa nonostante i numerosi inviti da parte del personale ostetrico”. Accuse che la famiglia rispedisce in toto al mittente ed è per questo che hanno deciso di rendere pubblico quanto accaduto. “A questo punto ci vediamo costretti a prendere provvedimenti drastici nei confronti della struttura, scrivono, a meno che il verbale in oggetto venga redatto e le debite scuse vengano fornite alla paziente e i suoi famigliari. Troppi errori e difficoltà, concludono, che avrebbero potuto essere chiarite con educazione e rispetto al posto dell’arroganza e della presunzione”.
Abbiamo chiesto all’ Asl 1 delucidazioni su quanto accaduto e la stessa azienda sanitaria imperiese ci ha risposto che “siamo rammaricati per quanto denunciato dalla signora e ci scusiamo per il disagio occorsole. I nostri uffici hanno preso in carico la sua segnalazione per effettuare le opportune verifiche del caso presso la direzione competente". Il caso quindi verrà esaminato dagli uffici preposti in modo che vengano accertate, o meno, responsabilità da parte del personale coinvolto nei fatti.
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