«Ho visto Scola buttarsi. Ho visto Morse tirare dalla media. Ho visto le guardie penetrare e segnare. Ho visto Strauntins lanciarsi in contropiede. Ho visto Ferrero caricarsi i compagni sulle spalle. Ho visto De Nicolao scherzare con Scola. Ho visto Douglas metterla da tre. Ho visto Bulleri azzeccare i cambi. Ho visto Ruzzier dirigere e governare. Ho visto Conti esultare. Ho visto Toto sereno a bordo campo. Qualcosa è cambiato».
Oggi partiamo da qui. Da un telefono che squilla a ripetizione alla sirena finale: messaggi su messaggi. Tra tanti testi di giubilo, ecco quello di Massimo Rivolta, uno che - cascasse il mondo - la domenica (o il sabato) vedevi sempre seduto sui seggiolini di Masnago. Con il sole, la pioggia, la neve, la grandine e pure con le cavallette. Uno, come tanti in questa città, a cui la nera contemporaneità ha tolto la possibilità di accarezzare da vicino la passione di un’intera vita.
Lo leggiamo: una poesia moderna. Un po’ di De Andre e della sua Nina che volava, un po’ di underground, un po’ (un bel po’) di sofferenza che ritrova la strada dell’amore. E lo rifà sgorgare.
Sorridiamo: anche noi abbiamo visto tutte queste cose. E le abbiamo viste nel momento in cui avevamo totalmente perso la speranza di poterle rivedere.
E allora continuiamola questa poesia. Che non doveva nascere e invece è nata.
Ho visto Varese perdere tutti i duelli individuali, come da abitudine, come da copione, per 10-15 minuti. Poi l’ho vista risalire la china, risorgere dalle ceneri come un’araba fenice, reagire di squadra di fronte all’annientamento dei singoli. E allora ho visto i duelli di cui sopra cambiare direzione, pesare sulla Dinamo, fiaccarne le resistenze, con la stessa concreta possibilità con cui il vento che prima porta tempesta, poi sa riportare il sereno.
Ho visto Varese concedere al primo attacco della Serie A (ben oltre i 90 punti di media) solo 74 punti. L’ho vista asfissiarlo a poco a poco ma costantemente (17,17, 18 i punti subiti negli ultimi tre quarti). L’ho vista non mollare la presa nemmeno per un minuto. Ho visto tagli sotto canestro mal difesi, cambi ritardati, Egbunu uccell di bosco mentre Happ pasteggiava a punti segnati e Pastis. Poi ho visto che nemmeno uno spiffero è riuscito a passare più.
Ho visto la pressione sulla palla togliere le idee a chi normalmente fa viaggiare la fantasia. E ho visto Douglas, Ruzzier, Beane e De Nicolao rubare il Natale a Spissu, Gentile, Katic e Kruslin, come dei perfidi grinch.
Ho visto Bilan, Happ e Burnell segnare 15 canestri in area nei primi venti minuti. Poi li ho visti farne solo 5. Nei successivi venti…
Ho visto un attacco iniziare con la solita solfa: circolazione perimetrale, triple di noia, rinuncia a ogni velleità garibaldina in area. Poi ho visto lo stesso attacco iniziare a correre, bucare fino al ferro ogni piccolo pertugio rinvenuto, tirare da 3 solo dopo aver davvero costruito, solo a sintesi di un processo che producesse quel tiro come migliore soluzione possibile. Ho visto la stessa squadra che sabato scorso aveva giocato al Luna Park della Virtus Bologna tirare più da 2 che da 3.
Ho visto la fase offensiva nascere da quella difensiva. Come per anni è accaduto con quell’ometto di cui un po’ tutti in questi mesi ci siamo sentiti vedove. Sapete com’è: ci piace vedere una Varese che lotta, non una che perde…
Ho visto Michele Ruzzier penetrare come un coltello penetra nel burro e difendere come uno specialista. Ho visto Giovanni De Nicolao cambiare il colore della partita, con un pennello che ha rischiato di marcire in fondo a una panchina a causa di sovrabbondanza e confusione. Ho visto la stella Scola diventare l’operaio Luis. Ed essere tremendamente più efficace. Ho visto capitan Giancarlo Ferrero tornare a ruggire con la stessa grinta con cui ha saputo cambiare la sua parabola professionistica e diventare un vero giocatore di Serie A e poi una bandiera di una società che ha settantasei anni di storia.
Qualcosa è cambiato? Beh, è davvero presto per dirlo: una vittoria non fa salvezza, né sa redimere tanti, troppi, peccati.
Di certo, però, questi ragazzi hanno un anima. E oggi l’hanno dimostrato. Tutti, dal primo all’ultimo.
Siamo partiti da un tifoso, finiamo con chi di tifosi ne rappresenta tanti: il Trust. L’altro giorno la vice presidente Paola Guarneri, un’altra poetessa, stavolta nascosta dietro le vesti di una psicologa, ha preso carta e penna e ha scritto una lettera a Ferrero e compagni, firmata poi da tutto il direttivo del BSN. Una lettera dolce, ma ferma, con un appello: «Vogliamo avere la certezza che siete disposti a combattere fino alla fine e senza risparmiarvi per questo nostro amore». La lettera è stata tradotta anche in inglese, poi consegnata al capitano, che l’ha letta, spiegata e infine appesa in spogliatoio.
Niente accade per caso.
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