Ha da poco raggiunto il traguardo della pensione da insegnante, Domenico Comino, classe 1955, uno dei pionieri della prima Lega, quella ruspante e battagliera in cui il concetto di “Nord” veniva declinato con durezza in contrasto a quello di “Sud”.
Vive a Morozzo, paese prolifico di esponenti politici (di Morozzo è anche l’ex ministro Ds Livia Turco e qui ha avuto i natali lo storico presidente della Regione, il socialista Aldo Viglione), dedicandosi ormai esclusivamente alle sue passioni: musica, bicicletta e moto.
Prima del riflusso nel privato, Comino, negli anni ’90, è stato alla ribalta della politica nazionale.
Eletto deputato nel 1992, nel 1994 diventa ministro delle Politiche Europee. Fa parte, insieme a Gipo Farassino, dello stato maggiore della Lega Piemont, ruolo che lo vede, nel 1993, candidato sindaco a Torino.
Terminata l'esperienza di governo, nel ‘94 diventa capogruppo della Lega Nord a Montecitorio. Nel 1995 è il candidato del Carroccio alla Presidenza della Regione Piemonte: ottiene l'11%.
Dal 1996 al 1999 è segretario della Lega Piemont succedendo al fondatore, lo chansonnier Gipo Farassino.
Nel 1999 lo scontro, violento, con Umberto Bossi al Congresso di Varese. Comino sostiene la necessità di un'alleanza strategica con Forza Italia.
Viene subissato di critiche e accusato di essere un “traditore”, un “venduto”, il "mangiabistecche berlusconiste", il “disertore” che preferisce "le forchette" alla "spada di Alberto da Giussano".
Rischia il linciaggio e viene espulso dal partito, anche se poco dopo il Senatur darà vita all’alleanza con Berlusconi seguendo, di fatto, la via che gli era stata indicata.
Ma per il “traditore” non ci sono né perdono né riabilitazione.
L’ex ministro di Morozzo cerca ancora, ostinatamente, di dar vita ad una formazione politica autonoma, “Autonomisti per l'Europa”, ma l’operazione si rivela un flop alla prova delle urne.
Si ritira dalla scena politica e torna all’insegnamento: la sua parabola politica è durata poco meno di due lustri, ma sono stati anni intensi e con ruoli di primo piano.
Ha accettato di buon grado di rispondere ad alcune nostre domande.
Professor Comino, lei è stato l’esponente della Lega cuneese che, in assoluto, ha avuto il più alto incarico di Governo: Ministro per il coordinamento delle politiche dell’Unione Europea nel primo Governo Berlusconi, senza contare le candidature a sindaco di Torino e alla Presidenza della Regione Piemonte oltre ai tanti incarichi di partito.
Che cosa ne pensa della situazione politica attuale?
“Mi sembra abbastanza confusa, determinata anche dall’emergenza Covid, ma ciò non toglie che si fatichi a comprendere talune decisioni governative ed anche prese di posizione delle opposizioni, per me, non condivisibili. Prendiamo la questione dei fondi europei straordinari: Salvini li vorrebbe a “fondo perduto” mentre l’Unione Europea ce li concede a tassi irrisori chiedendoci in cambio una politica di riduzione del debito.
Chi vuole “tutto gratis” si dimentica che abbiamo pagato in deficit “Quota 100” e “Reddito di cittadinanza” e abbiamo buttato via ingenti risorse per Alitalia. In compenso, non siamo mai riusciti a risolvere le nostre “piaghe bibliche”: corruzione, burocrazia, contratti di lavoro arcaici, lavoro nero, giustizia lenta, criminalità, evasione fiscale…
Mi dice l’amico Giancarlo Pagliarini (Ministro del Bilancio nel 1° Governo Berlusconi) che noi, dal 1980 al 2018, abbiamo speso in media 177 milioni di euro al giorno in interessi sul debito pubblico. Mi chiedo e chiedo a voi: quante cose avremmo potuto fare con tutti quei soldi?”
Nel 1999, nel congresso di Varese, lei venne cacciato dal Carroccio “per indegnità”. Le veniva rimproverato di preferire “la forchetta alla spada di Alberto da Giussano” dal momento che sosteneva la bontà dell’alleanza con Forza Italia. Rimpianti per quella stagione?
“Nessuno. Chi non vuole rischiare qualcosa per difendere le proprie idee, o non vale niente lui o non valgono nulla le sue idee. Avevo messo in conto che qualunque azione di dissenso e di critica nei confronti di Bossi, avrebbe comportato la mia automatica espulsione dal partito, senza possibilità di appello.
Venni accusato di “mangiare la bistecca berlusconista” anche se, in seguito, i fatti dimostrarono il contrario. Dopo la mia espulsione, Bossi seguì le mie indicazioni e si garantì almeno tre lustri di esistenza politica”.
La Lega, dalle origini ad oggi, ha avuto una mutazione genetica radicale. Il Federalismo ha ceduto il passo al Sovranismo. Un bel salto non le sembra?
“Evidentemente i risultati elettorali hanno dato ragione a Salvini. Che poi ciò si sia tradotto in un’ efficace azione di governo, come in effetti è avvenuto, è tutto da dimostrare.
Ad esempio, il federalismo fiscale resta quanto mai attuale: il voto delle scorse elezioni politiche ha evidenziato che di Italie ne esistono due: quella del Nord – che ha premiato la Lega - tesa a conseguire vantaggi elettorali con la “flat tax” o con la generica riduzione delle imposte e quella del Sud – che ha premiato i 5 Stelle – tesa a perpetuare l’assistenzialismo di Stato con il reddito di cittadinanza".
Ha qualche idea su come si potrebbe uscire dalla difficile fase che il Paese sta attraversando?
“Non si possono continuare a garantire talune politiche assistenziali con il trasferimento di risorse da Nord a Sud con la complicità dello Stato centrale. E gli Statuti speciali non sono una risposta. La Sicilia, con un debito regionale di oltre 5 miliardi di euro, andrebbe commissariata non rifinanziata con una legge speciale, come chiede il presidente Musumeci”.
Si riconosce ancora nella Lega?
“Per un autonomista cocciuto come me è difficile votare un simbolo da cui è stato tolto il “Nord”, ovvero ciò che rappresentava l’unione dei movimenti autonomisti che diedero vita alla Lega Nord”.
L’ha ancora votata o le sue simpatie sono andate ad altri partiti?
“In questi anni, come elettore, non ho avuto un comportamento lineare: ho votato Renzi, 5 Stelle e altre formazioni minori, ma più per reazione che per reale convinzione”.
Che giudizio dà della classe politica cuneese, compresa quella del suo ex partito?
“Non me la sento di esprimere opinioni perché non la conosco e non mi pare abbia un peso rilevante in ambito nazionale, almeno da quel che evinco dai media. A livello regionale piemontese poi, il ricambio dirigenziale leghista è stato totale: Farassino è deceduto nel 2013, di Borghezio ho perso le tracce. Roberto Rosso (da non confondere con il Rosso, assessore e consigliere regionale di Fratelli d’Italia, attualmente in carcere), segretario regionale piemontese ai miei tempi, è stato eletto deputato in Forza Italia.
Alberto Cirio, già vicesindaco leghista di Alba, è diventato “governatore” forzista del Piemonte”.
Molti suoi ex colleghi non ce l’hanno fatta a staccarsi dalla politica e hanno comunque voluto restare in campo. Lei invece ha scelto di staccare definitivamente la spina. Come ha fatto a…disintossicarsi?
“Non ho avuto bisogno di disintossicarmi perché sapevo che la mia sarebbe stata un’esperienza “a tempo”. Il distacco è stato compensato da grandi soddisfazioni nell’insegnamento e in qualche hobby che avevo dovuto abbandonare ai tempi della politica attiva, la musica, su tutti”.
Ha ancora avuto approcci con la politica o se ne è staccato completamente?
“Nonostante siano trascorsi oltre vent’anni dal mio “forzato abbandono”, molta gente mi ferma ancora per strada, scambia due battute al bar. Alcuni mi chiedono di tornare, gli ex-allievi mi hanno festeggiato per la pensione.
Insomma, mi pare di aver lasciato un buon ricordo. Resto convinto che la politica non debba essere un mestiere. Anni fa dicevo “la prima legislatura per imparare, la seconda per produrre, la terza per insegnare”. Se vogliamo era un po’ la filosofia della prima ora dei pentastellati ma vedo che, sulla limitazione dei mandati, si stanno ricredendo…”
Lei è stato un convinto assertore del Federalismo, tema che oggi è scomparso dal dibattito politico. A suo avviso dovrebbe essere ripreso?
“Senza dubbio anche se, mancando una forza politica di riferimento, l’elettore “autonomista-federalista” oggi come oggi si colloca nel partito degli astensionisti e del non-voto. Quanto più le decisioni politiche nazionali sono influenzate da quelle sovranazionali tanto più un assetto federale dello Stato può compensare la distanza tra cittadino e istituzioni.
A patto però che le competenze del governo locale siano, per Costituzione, esclusive e non concorrenti con quelle nazionali e sovranazionali e che i diversi livelli di governo abbiano certezza di risorse. Ad esempio, non si possono abrogare le Province, denazionalizzare le strade statali e poi pretendere che le Province residuali ne garantiscano l’efficienza”.
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