Un negozio chiuso, poi un altro ancora. Si estendono a macchia di leopardo i locali del centro che non ce l’hanno fatta e hanno deciso di tirare giù le serrande per sempre. Basta farsi una passeggiata per le principali vie dello shopping torinese per rendersi conto che tra una vetrina vuota e un cartello “vendesi” o “affittasi” sono aumentati a dismisura i negozi del centro vuoti. Tristemente abbandonati.
Un problema che si era già manifestato negli scorsi mesi e che, inevitabilmente, la crisi legata al Covid-19 ha acuito ulteriormente. Non tutti i negozi sono chiusi per la pandemia, anzi probabilmente si tratta di una minoranza. Quel che è certo è che chi prima del Covid riusciva a stare a malapena in piedi, oggi ha dovuto chiudere. “E’ presto per fare un bilancio, faremo il punto tra un paio di mesi. Noi già a gennaio avevamo chiesto di istituire un tavolo di crisi con il Comune” afferma Luca Amato, responsabile dei pubblici esercizi di Confesercenti. Amato si definisce preoccupato per gli effetti della pandemia, che si vedranno nelle prossime settimane e che rischiano di congelare anche il ricambio dei locali: “E’ difficile che un imprenditore, oltre al rischio di impresa si accolli anche questo problema”.<script type="text/javascript" src="//services.brid.tv/player/build/brid.min.js"></script>
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L’emorragia di locali non risparmia nessun punto del centro città: da via Po a via Garibaldi, passando per la centralissima via Roma ogni giorno che passa spuntano nuovi negozi chiusi, un po’ come i funghi dopo una lunga giornata di pioggia. Questa volta la perturbazione, o meglio dire il lockdown, è durato tanto, tantissimo. Due mesi e mezzo. Per molte attività troppi per andare avanti, per riuscire a rimanere aperti. In tanti si sono sentiti abbandonati, soprattutto dal Governo. Esemplare, in tal senso, il cartello che campeggia sulla vetrina di un negozio vuoto di via Lagrange: “Grazie all’aiuto ricevuto dallo stato in questi tre mesi (cioè niente) per il settore abbigliamento, abbiamo deciso di chiudere. Questa è l’Italia”.
La crisi che già aveva colpito violentemente il commercio negli scorsi mesi non ha risparmiato nessuno, costringendo alla chiusura tanto la pizzeria o il ristorante quanto il negozio d’abbigliamento. Su qualche vetrina si legge ancora il cartello “torneremo presto”, ma basta alzare lo sguardo per incontrare l’annuncio del locale in affitto o in vendita. Il rischio, in questo periodo, è che i negozi rimarranno a lungo vuoti e sfitti. Disabitati. Difficile pensare che qualcuno possa investire in un periodo di grande incertezza come quello della Fase 2. Anzi. Se la ripresa non dovesse essere celere, il rischio concreto è che nuovi locali possano aggiungersi alla lista di “quelli che non ce l’hanno fatta”.
Su questo aspetto è forte l’inquietudine di Alessandro Mautino (Epat): “La conta dei feriti la faremo nei prossimi sei mesi, ma lo Stato deve sostenere il nostro mondo. Il rischio, altrimenti, è che abbia luogo lo sciacallaggio da ambienti malavitosi, in grado di rilevare locali per le loro attività. Le mafie hanno a disposizione una liquidità immediata che potrebbe fa gola all’imprenditore in difficoltà”.
Un’eventualità da provare a scongiurare in ogni modo, con ogni mezzo. I nuovi dehors, per esempio, sono un’alternativa valida per i negozi di alimentari e di somministrazione ma per gli altri tipi di esercizi commerciali il piano B non è ancora scattato. Dai commercianti arriva una disperata richiesta d’aiuto, di una programmazione che gli consenta di sopravvivere fino alla ripartenza vera e propria. Se questo non dovesse accadere, la strada sembra delineata: un centro ancora più buio e disabitato.
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