Il Nazionale

Cronaca | 18 novembre 2025, 11:02

Morì per un trauma cranico nel cortile di un'azienda agricola di Revello: imprenditore accusato di omicidio colposo

A perdere la vita nel 2022 fu il trentenne Moussa Dembelé, marito e padre di due figlie che lo aspettavano in Mali. Per la sua morte i braccianti saluzzesi organizzarono una protesta. La difesa dell'imputato sostiene che il ragazzo non fosse un dipendente

Morì per un trauma cranico nel cortile di un'azienda agricola di Revello: imprenditore accusato di omicidio colposo

Quella di Moussa Dembelé fu la trentunesima morte bianca del 2022 in provincia di Cuneo. Il ragazzo, trentenne originario del Mali, era sposato e aveva due bimbe piccole che lo aspettavano in Africa. In Italia dal 2014, Moussa risultava residente a Modena ma quando perse la vita si trovava a Rifreddo, vicino a Saluzzo. 
L’incidente avvenne il 10 luglio 2022 e, un mese dopo circa, un gruppo di braccianti organizzò una protesta nel Saluzzese, con cui, oltre a “giustizia per Moussa”, chiedevano contratti di lavoro, di esser regolarizzati. Ed è proprio questo il cuore del processo instauratosi in tribunale a Cuneo a carico dell’imprenditore agricolo F. T., nel cui cortile, quella mattina, il ragazzo perse la vita. 

A essersi costituiti parte civile anche per conto della moglie della vittima, un ragazza di appena vent’anni, e le figliolette,  è stato il fratello, residente in Italia. Ma le difese di F. T. hanno sostenuto che in realtà quella procura, documento con cui la vedova e prole hanno deciso di costituirsi in giudizio, sarebbe irregolare. “Dobbiamo contestualizzare – ha detto l’avvocato della famiglia Dembelé - la realtà di una ragazza vedova di poco più di vent’anni in un Paese in guerra civile. La legalizzazione deve essere fatta tramite un’ambasciata che in Mali non c’è, essendo presente solo un ufficio consolare collegato all’ambasciata nigeriana”. 

Stando a quanto ricostruito da chi effettuò i rilievi sul luogo dell'incidente, il ragazzo avrebbe sbattuto la testa contro un macchinario, il desilatore, che lo avrebbe “risucchiato” mentre stava dando da mangiare ai bovini lungo la rastrelliera. La causa del decesso, come constatato dal medico legale, fu un trauma cranico. Inizialmente, a essere indagato assieme a F. T., c'era anche il costruttore del macchinario, la cui posizione  è stata poi archiviata. 

Sul posto poi, come spiegato in aula da un amico dell’imputato, agricoltore e vicino di casa che, allertato, accorse in suo aiuto, all’arrivo del 118 lui stava già tentando di praticare le manovre salva vita al ragazzo. “Quando sono arrivato gli stava facendo la respirazione bocca a bocca - ha ricordato il testimone -. Poi ha iniziato a fargli il massaggio cardiaco”. Ma alla domanda se avesse mai visto “quell’uomo di colore”,  l’agricoltore ha assicurato di no: “Credo fosse qualcuno che cercava lavoro”, ha risposto. Il corpo del giovane, riverso a terra esanime, si trovava a circa un metro dal macchinario agricolo (poi sequestrato) utilizzato per distribuire il mais agli animali.

Assistito dagli avvocati Chiaffredo Peirone e Tommaso Servetto l'agricoltore F. T. è a processo per omicidio colposo. L’ipotesi sostenuta dalla Procura è che quel giovane, in realtà, fosse un dipendente della sua azienda agricola e che, come anche illustrato dal luogotenente dei Carabinieri Giancarlo Usai, ora in congedo, l’amico avrebbe aiutato l’imputato a liberare la vittima dal desilatore e spostarlo: “Al nostro arrivo - ha spiegato - non abbiamo constatato lo spostamento, ma lo abbiamo appreso successivamente dalle dichiarazioni”. 

Dopo il luogotenente, è stata la volta del maresciallo Dario Scarcia, comandante del nucleo Ispettorato del Lavoro dei Carabinieri, che aveva provveduto a effettuare gli accertamenti sui rapporti di lavoro. Come illustrato, dalle banche dati dell’Inps emerse che Moussa non era dipendente dell’azienda agricola condotta da F. T.  “Al momento dell’infortunio - ha spiegato il maresciallo - la vittima risultava sprovvisto di un contratto regolare di lavoro”. 

Da qui, la tesi opposta sostenuta dalla difesa: Moussa non sarebbe stato un dipendente dell’azienda. 

Il ragazzo venne poi identificato con la carta di identità rilasciata dal Mali e, dal punto di vista occupazionale risultava “inesistente”. Prima la residenza a Modena, poi una richiesta di permesso di soggiorno, che avrebbe dovuto ritirare nella città dell'Emilia Romagna e due date di nascita differenti.

Il processo riprenderà il 29 dicembre.

CharB.

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