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Politica | 09 luglio 2025, 19:00

Il prezzo delle promesse, il peso delle incompiute e quell’eredità che ha accolto Silvia Salis sulla soglia di Palazzo Tursi

Da Amt allo Skymetro, dal ‘Ferraris’ al Palasport, alla sindaca il difficile compito di guidare la macchina comunale gestendo i lasciti di una visione manageriale firmata Bucci-Piciocchi

Il prezzo delle promesse, il peso delle incompiute e quell’eredità che ha accolto Silvia Salis sulla soglia di Palazzo Tursi

Dopo i doverosi festeggiamenti e la foto di rito davanti a Palazzo Tursi nel giorno delle elezioni, per Silvia Salis l’avvio del mandato ha avuto il sapore amaro di chi apre la porta di casa nuova e sente già odore di bruciato. Si chiudeva la stagione di Marco Bucci, sindaco manager, promotore instancabile di opere pubbliche e progetti visionari, sostenuto da una narrazione fatta di accelerazioni e risultati, si apriva quella di una città a misura di uomo, vicina a chi resta indietro, aperta ai diritti e con un occhio sempre attento alla sostenibilità dei progetti.
Eppure, non appena varcata la soglia del Municipio, Salis si è trovata davanti un paesaggio meno ordinato di quanto promesso. Ha parlato subito, senza fare giri di parole, durante la presentazione della sua giunta: “Abbiamo trovato 50 milioni in meno del previsto”. Nessun allarme da default, ma un segnale forte: la casa di tutti i genovesi è più fragile di come sembrava da fuori.
In un tempo politico che vive di storytelling, Salis ha scelto un’altra via: mostrare le macerie prima ancora di annunciare la ricostruzione. È stato il primo passo, ora viene la parte più complicata: affrontare, una per una, le eredità lasciate dalla giunta Bucci e, di riflesso, dall’interregno di Pietro Piciocchi.

AMT e la questione della sostenibilità

L’azienda del trasporto pubblico genovese, è da anni al centro di una narrazione di rilancio. Linee allungate, nuovi mezzi, integrazione ferro-gomma, esperimenti di gratuità per alcune fasce orarie, innovazione come il sistema dei Quattro Assi. La governance dell’azienda, sotto l’amministrazione Bucci, ha spinto sull’innovazione e sull’espansione, trasformando Amt in uno dei bracci operativi principali del cambiamento urbano. Ma dietro l’entusiasmo e i dati sulle percorrenze aumentate, si nasconde un’altra verità: la tenuta economica dell’intero sistema è a rischio.
Le risorse a disposizione non sono illimitate, e la gratuità promessa rischia di essere un boomerang se non viene accompagnata da finanziamenti certi e costanti. A questo si aggiunge un quadro economico che inizia a scricchiolare. L’ultimo bilancio d’esercizio ha registrato un passivo superiore ai 10 milioni di euro, con una perdita che l’azienda ha attribuito principalmente all’aumento dei costi energetici, all’inflazione e alla necessità di sostenere l’espansione del servizio. Una perdita che apre interrogativi sulla sostenibilità futura del modello.
Silvia Salis eredita non solo una struttura in tensione ma anche un contratto di servizio appena siglato che potrebbe limitarne i margini di manovra. In più, si trova a dover mediare tra le istanze dei sindacati, che chiedono chiarezza sulle prospettive occupazionali, e le esigenze dei cittadini, spesso esasperati da un servizio che, nonostante i miglioramenti, resta fragile nei quartieri collinari e nei collegamenti serali.
Sotto la superficie, si intravede la domanda vera: Genova può davvero permettersi un modello di mobilità pubblica allargata, gratuita, capillare? O bisognerà rivedere le ambizioni alla luce delle nuove condizioni economiche?
Intanto, da piazza De Ferrari, Marco Bucci promette che sarà al fianco del Comune nel gestire la partita Amt, anche dando una mano a reperire i fondi necessari per tenere in piedi la macchina.

Metropolitana: l’opera infinita

Quasi ogni grande città ha la sua opera incompiuta che la identifica, Genova ha la metropolitana. Un’infrastruttura che da tempo avanza per piccoli tratti, tra promesse elettorali e cantieri rallentati. L’estensione verso Canepari e verso piazza Martinez è stata annunciata, confermata, finanziata. A giugno 2025, proprio a ridosso del voto e del cambio di amministrazione, è stato firmato il contratto per la realizzazione del lotto Brignole–Canepari. Una firma che ha il sapore di un’eredità vincolante, consegnata alla nuova sindaca.
La verità, però, è che la metro genovese non corre, avanza rallentata dalla conformazione della città, dalle difficoltà tecniche e dalle lungaggini. Salis si trova ora nella condizione di dover garantire continuità a un’opera strategica senza poterne davvero governare il passo. E intanto le aspettative dei cittadini crescono, alimentate da anni di promesse, annunci, firme su protocolli e accordi.
C’è poi il nodo delle interconnessioni: la metro dovrebbe dialogare con bus, ascensori, funicolari e treni urbani, ma l’integrazione è ancora parziale. La sfida non è solo realizzare chilometri di gallerie, ma trasformare la metropolitana in uno strumento vivo, accessibile, utile alla quotidianità dei genovesi.

Skymetro: il progetto rifiutato (e il peso dei 400 milioni)

Lo scontro sullo Skymetro ha segnato fin da subito una linea netta tra la vecchia e la nuova amministrazione. Marco Bucci lo aveva presentato come l’asse portante della mobilità del futuro, una monorotaia sopraelevata capace di collegare la Valbisagno a Brignole in tempi rapidi, sostenuta da un finanziamento statale di quasi 400 milioni di euro. Un’opera simbolo, pensata per essere visibile, riconoscibile, innovativa. Ma anche discussa, contestata, percepita da molti come un corpo estraneo nel tessuto urbano oltre che potenzialmente pericolosa, perché affiancata a un Bisagno che preoccupa quando il livello dell’acqua si alza.
Silvia Salis non ha atteso troppo per prendere posizione. “Non è un’opera prioritaria, e soprattutto non è condivisa con i cittadini della Valbisagno”, ha detto nel giorno in cui il Mit ha messo il Comune di Genova con le spalle al muro. Parole che, inevitabilmente, hanno fatto rumore tra Genova e Roma. Il rifiuto dello Skymetro non è solo un “no” tecnico, ma un atto politico. La sindaca ha voluto indicare da subito una discontinuità di metodo: prima si ascolta, poi si decide.
Ma la questione è tutt’altro che chiusa e i fondi rischiano ora di andare perduti. La Regione Liguria, con Bucci in prima fila, ha già fatto sapere di essere pronta a “dare una mano” qualora a Palazzo Tursi si dovesse cambiare idea. Il rischio è che si apra un conflitto istituzionale che vada oltre l’opera stessa, diventando il simbolo del braccio di ferro tra Tursi, De Ferrari e Roma.
Salis si trova così nella posizione delicata di dover dire di no e di dover proporre in tempi rapidi una valida alternativa per la mobilità della Valbisagno, che da decenni chiede un collegamento rapido, efficiente e sostenibile.

Funivia del Lagaccio: tra Pnrr e rigetto popolare

Poche opere raccontano la distanza tra progetto e realtà come la funivia del Lagaccio. Nata come suggestione turistica, pensata per collegare in quota la stazione marittima al forte Begato passando sopra le case, ha finito per diventare un caso politico, urbanistico e sociale. Un’opera finanziata con fondi del Pnrr (oltre 40 milioni di euro) ma mai accettata dal territorio.
Negli anni, comitati, associazioni e residenti hanno espresso un’opposizione crescente. Non tanto per il principio del trasporto a fune, quanto per l’impatto previsto delle stazioni, delle piloni, delle servitù imposte agli edifici, del rischio che un’infrastruttura pensata per “valorizzare” finisse per isolare ancora di più una parte già fragile della città.
Salis eredita una situazione in stallo. I fondi ci sono, ma il cantiere non è partito e non partirà.
Nel suo programma elettorale, Salis aveva parlato di “rigenerazione partecipata”. Ora è il momento di dimostrare cosa significhi davvero. Il Lagaccio potrebbe diventare il banco di prova di un altro modo di progettare la città. Oppure l’emblema di un’occasione persa.

Palasport: i nodi dell’utilizzo e della gestione

Nel bilancio delle grandi opere cittadine, il Palasport della Foce è una delle poche che la precedente amministrazione ha effettivamente portato a termine. Riaperto nel 2024 dopo un lungo restauro, il nuovo impianto da 5 mila posti fa parte del più ampio progetto di riqualificazione del Waterfront di Levante firmato Renzo Piano. È stato pensato come polo multifunzionale per ospitare eventi sportivi, concerti, spettacoli e convegni.
Ma nemmeno questo dossier, apparentemente chiuso, è privo di strascichi. A cominciare dalla vicenda dell’acquisto: per completare il progetto e rientrare in possesso della struttura, il Comune ha acquistato il Palasport da Cds Holding per una cifra superiore di circa 9 milioni rispetto a quella incassata pochi anni prima quando lo stesso immobile era stato ceduto. Un’operazione che ha attirato l’attenzione della Corte dei Conti.
E poi ci sono già i primi problemi tecnici. Durante gli Europei di scherma, organizzati a giugno 2025, proprio pochi giorni dopo l’elezione di Silvia Salis, l’impianto di climatizzazione non ha retto. Atleti costretti a gareggiare in un caldo soffocante, lamentele e una conseguente figuraccia mediatica che ha fatto subito irruzione nella nuova agenda della sindaca. Salis ha promesso verifiche e interventi urgenti, ma il danno, anche in termini di immagine, è stato fatto.
Insomma, il Palasport è sì operativo, ma resta un nodo. La nuova amministrazione eredita un’infrastruttura già inaugurata ma non del tutto affidabile, con investimenti ingenti da giustificare e un nodo gestionale ancora da sciogliere: sarà il Comune a gestirla direttamente? Verrà affidata a un soggetto esterno? Ci sarà una programmazione stabile o il rischio di una cattedrale nel deserto? Le risposte dovranno arrivare in fretta.

Lo stadio Ferraris: tra due squadre, un Europeo e un rebus politico

Tra i dossier più sensibili ereditati dalla nuova amministrazione, quello dello stadio ‘Luigi Ferraris’ è tra i più esposti. Non solo per l’impatto simbolico che ha su una città divisa tra due tifoserie, ma per la complessità amministrativa, finanziaria e politica che lo circonda. Il progetto di ristrutturazione dell’impianto, firmato dallo studio di Stefano Boeri, è stato uno degli ultimi lasciti concreti della giunta Bucci. Un piano da 80-100 milioni di euro per trasformare l’attuale struttura in un’arena moderna e multifunzionale, pronta ad accogliere concerti, eventi e, si spera, partite degli Europei di calcio del 2032.
L’idea iniziale era quella di una vendita: cedere l’impianto a una newco composta da Genoa, Sampdoria e Cds Holding per una cifra di circa 14,5 milioni di euro. L’accordo, firmato a gennaio 2025 a Palazzo Tursi, prevedeva la presentazione di un’offerta vincolante entro la primavera e l’apertura della procedura pubblica per la cessione. Ma con l’elezione di Silvia Salis la traiettoria è cambiata. La nuova sindaca ha da subito dichiarato che il Ferraris non si tocca: resterà pubblico, punto fermo di un’amministrazione che intende mantenere il controllo sui beni strategici della città.
Quella presa di posizione ha imposto un cambio di rotta. Invece della vendita, ora si lavora a una concessione pluriennale, che consentirebbe comunque a Genoa, Sampdoria e Cds di gestire e riqualificare l’impianto, ma lasciando al Comune la piena proprietà. È una forma di partenariato pubblico-privato che consente di attivare gli investimenti senza rinunciare al presidio istituzionale. E soprattutto, rappresenta una soluzione di compromesso in grado di tenere insieme le due società calcistiche, oggi unite dal desiderio condiviso di avere uno stadio moderno, funzionale, competitivo.
Ma le incognite restano. La prima è quella temporale: per rientrare nel circuito degli Europei del 2032, il cantiere dovrà partire il prima possibile. La seconda è quella economica: chi metterà i soldi? Salis ha avanzato l’ipotesi di un mutuo a lungo termine da parte del Comune, soluzione che ha generato scetticismo tra i vertici regionali e in parte dell’opposizione. Il presidente della Regione, Marco Bucci, ha contestato l’approccio, parlando di “confusione tra proprietà e concessione”, ribadendo che senza fondi statali il progetto rischia di impantanarsi.
Il dossier Ferraris è, insomma, un concentrato di ciò che attende la giunta Salis: una sfida da giocare tra pragmatismo e principi, tra tutela dell’interesse pubblico e ricerca di soluzioni sostenibili. Un banco di prova inevitabile.

Il buco da 50 milioni

Infine, la questione annunciata il giorno dell’esordio a Tursi, quando sindaca ha denunciato la presenza di un buco da 50 milioni di euro nei conti comunali. Una discrepanza tra le entrate previste e quelle effettivamente disponibili, che rischia di compromettere la solidità del bilancio e la realizzazione delle opere in programma.
La giunta Bucci aveva sempre rivendicato una gestione finanziaria solida, ma l’analisi della nuova amministrazione ha messo in luce alcune criticità: spese non coperte, previsioni ottimistiche, residui attivi di difficile riscossione. Niente di irregolare, ma tanto di strutturalmente fragile.
Per Salis è una sfida tecnica ma anche politica. Significa dover rivedere alcuni piani, magari dover dire qualche “no” che pesa.
Il rischio è che il tema venga fagocitato dalle polemiche. L’opportunità è quella di avviare una stagione diversa, in cui il Comune non prometta ciò che non può permettersi.

L’eredità lasciata a Silvia Salis non è solo fatta di opere incompiute o conti traballanti. È fatta di un’idea di città disegnata a grandi tratti, ma a volte senza ascolto e senza quel cerchio che si chiuda da capo a coda. Il cambio di passo che la nuova sindaca ha promesso si misura qui: nel modo in cui affronterà i problemi, più che nella quantità di cose nuove da avviare.
Genova è una città che da tempo vive in attesa: di un cantiere che si sblocca, di un’opera che parte e arriva al termine, di un cambiamento che si realizza nel completo. Ora tocca a Silvia Salis, con le sue idee e l’eredità  che si è ritrovata e che le presenta il conto tutti i giorni.

Pietro Zampedroni

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