La richiesta del pubblico ministero Donatella Masia nei confronti di quell’uomo, imprenditore edile originario del Cuneese, gravato da precedenti per reati che vanno dalla bancarotta al furto e al falso, ora a giudizio per maltrattamenti in famiglia, era stata pari a 5 anni di reclusione. Nell’udienza tenuta questa mattina il Tribunale di Asti in composizione collegiale ha deciso nei suoi confronti una condanna ad anni tre e mesi uno di reclusione con l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni e il risarcimento del danno alla parte civile da liquidarsi in separato giudizio e con provvisionale immediatamente esecutiva di 8.000 euro.
Una sentenza quella pronunciata stamane dal presidente Alberto Giannone – giudici a latere Elio Sparacino e Victoria Dunn – che mette un punto su una vicenda di violenza e prevaricazione tra le mura domestiche dai risvolti particolarmente inquietanti. A partire dalla condizione di sudditanza della donna, elemento succube di una relazione durata circa due anni e finita all’attenzione degli inquirenti grazie a una segnalazione arrivata dal figlio undicenne della vittima, una imprenditrice dell’Albese.
Era stato il ragazzo, nel corso di un viaggio in auto con la madre e il compagno, avendo assistito all’ennesima aggressione nei confronti di lei, ad allertare la sorella tramite messaggio, senza farsi scoprire dall’uomo. La ragazza a sua volta avvisava la Polizia che, seguendo le indicazioni del bambino, riusciva a intercettare la vettura in autostrada nei pressi di Genova salvando cosi la donna e il bambino.
Condotta in caserma e sentita con l’ausilio di una psicologa, la donna scoppiava a piangere e raccontava una serie di azioni antecedenti che facevano presupporre non un episodio isolato, ma un quadro di condotte reiterate.
Accomunate dal segno della violenza e della prevaricazione quelli accertati nel corso del processo, a partire dal controllo maniacale sull’utilizzo dei social da parte della donna al gettarne le valigie fuori dalla stanza di albergo dove alloggiavano durante una vacanza, al chiuderla fuori di casa e lasciarla per lungo tempo sul pianerottolo del condominio dove i due vivevano vestita solo della biancheria intima.
Numerose le occasioni nelle quali l’uomo era arrivato a insultarla, a minacciarla e a percuoterla, lasciandole parecchi lividi sul corpo. Si sputava sulle mani per poi premergliele sul corpo, la tratteneva con forza a letto premendole le mani sul viso impedendole di urlare, la minacciava di inviarle malviventi a violentarla o di metterle topi negli esercizi commerciali da lei gestiti.
Atteggiamenti che investivano anche la famiglia della vittima, a partire dal figlioletto maschio, spesso destinatario di grossolani epiteti quando non trattato con fare violento.
Condotte che sono valse all’uomo la condanna a lui inflitta questa mattina. “Il Tribunale – commenta in proposito l’avvocato albese Matteo Ponzio, che nel processo ha rappresentato la donna costituita parte civile – ha reso giustizia alla mia assistita già duramente provata dagli eventi tragici occorsi alla propria famiglia. Le condotte tenute dall’imputato sono state caratterizzate da una crudeltà inaudita e hanno determinato una rilevantissima sofferenza soprattutto psichica in quanto tese a sminuire la vittima come donna, come madre e come imprenditrice. Purtroppo, pur essendo le cronache piene di fatti similari, l’obiettivo della nostra società deve essere quello di continuare a combattere affinché queste violenze cessino di verificarsi”.
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