Assoluzione perché il fatto non sussiste. Questa la sentenza del giudice Francesco Giannone nei confronti di 24 imputati nel processo legato alla centrale Tirreno Power.
Dopo 9 anni e mezzo dall'ordinanza di sequestro dei gruppi a carbone disposta dal Gip Fiorenza Giorgi, 4 anni e mezzo dalla partenza del procedimento, è arrivata così, davanti ad un folto pubblico (presente anche uno striscione contro il rigassificatore) la lettura del dispositivo nel primo grado di giudizio.
Anni caratterizzati dalle molteplici indagini della Procura, dalle battaglie delle associazioni, i cittadini, i lavoratori e le varie testimonianze sfilate in aula da parte di chi si era occupato delle indagini, gli abitanti, i sindaci dell'epoca e tramite i consulenti dell'accusa, delle parti civili e delle difese.
La Procura aveva contestato all'azienda la mancata copertura del carbonile e la mancata realizzazione del VL6, l'utilizzo dei due impianti a carbone, VL3 e VL4, fino al 2013, facendoli lavorare a ritmi molto alti, la collocazione dello Sme a camino e le BAT (migliori tecnologie disponibili).
Tutte contestazioni respinte dalla difesa, con l'azienda che aveva puntualizzato a più riprese durante il procedimento e nelle sue repliche che "i limiti di emissione sono sempre stati rispettati. Di fronte a questa evidenza di pieno rispetto della legge, l’accusa ha sostenuto che bisognava invece attenersi alle BAT, indicazioni che non avevano alcun valore di norma e che peraltro erano già state considerate nell’autorizzazione rilasciata alla centrale dal ministero dell’Ambiente. Altro fatto accertato è che la qualità dell’aria a Savona è sempre stata tra le migliori d’Italia. Mai nessun superamento dei limiti per nessun inquinante, secondo i dati ufficiali di Arpal".
Il pm Elisa Milocco aveva chiesto 3 anni e 6 mesi per 24 imputati e un'assoluzione. Non erano state ammesse le attenuanti generiche ed è stata richiesta l'assoluzione per l'ex consigliere d'amministrazione Jacques Hugè per non aver commesso il fatto.
E' stata richiesta invece la condanna per Giovanni Gosio, direttore generale dal 2003 al 2014; Massimo Orlandi, presidente del Cda in diversi periodi nonché membro del Comitato di Gestione; Mario Molinari, Andrea Mezzogori, Denis Lohest, Adolfo Spaziani, Jean-Francois Louis Yves Carriere, Pietro Musolesi, consiglieri d’amministrazione; Mario Franco Leone, presidente del «Da» tra il 2010 e il 2014; Giovanni Chiura, Aldo Chiarini, Olivier Pierre Dominique Jacquier, Agostino Scornajenchi, Alberto Bigi, Pascal Renaud, Giuseppe Gatti, Luca Camerano e Charles Jean Hertoghe, consiglieri d’amministrazione e membri del Comitato di gestione negli ultimi anni; Ugo Mattoni, direttore della Direzione Energy Management dal 2004 al 2014; Pasquale D’Elia, capo centrale dal dicembre 2005 al 2014; Maurizio Prelati, direttore della Direzione Produzione dal 2008 al 2014; Andrea De Vito, direttore della Direzione Amministrazione Finanza dal 2007 al 2014; Guido Guelfi, direttore della Direzione Ingegneria dal 2004 al 2014; Claudio Ravetta, direttore Produzione dal 2004 al 2008 e vice direttore generale dal 2008.
Nel processo erano stati ammessi (richiedendo anche un maxi risarcimento) oltre al Ministero dell’Ambiente, Ministero della Salute, WWF, Medicina Democratica, Greenpeace, Legambiente, Uniti per la salute, Anpana, Codacons, Associazione Articolo 32, Adoc, Accademia Kronos e Associazione Cittadinanza Attiva) anche 48 abitanti.
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