Il Nazionale

Cronaca | 08 maggio 2023, 13:48

Omicidio del muratore a Bra, i due imputati respingono ogni addebito: "Non abbiamo ucciso noi Avenir Hysaj"

In Corte d’Assise ad Asti nuova udienza nel processo per l'omicidio del 34enne freddato con tre colpi di pistola e ritrovato cadavere nelle rocche di Pocapaglia

Omicidio del muratore a Bra, i due imputati respingono ogni addebito: "Non abbiamo ucciso noi Avenir Hysaj"

Martedì 16 maggio una nuova udienza per ultimare l’istruttoria e una settimana dopo potrebbe già arrivare l’ora della discussione, nel processo in corso davanti alla giuria popolare riunita presso la Corte d’Assise di Asti, dove si punta a fare chiarezza sull’omicidio del 34enne muratore di origini albanesi Avenir Hysaj, scomparso da Bra il 21 febbraio 2021 e rinvenuto privo di vita quasi un mese dopo, il 19 marzo, in una zona boschiva nelle campagne di Pocapaglia, freddato con tre colpi di pistola alla testa.

Due le persone chiamate a rispondere di un omicidio che secondo la Procura astigiana (pubblico ministero la dottoressa Simona Macciò) sarebbe maturato in ambienti legati allo spaccio di droga ai piedi della Zizzola.

Si tratta del 37enne Nicholas Luppino, che in città gestiva insieme alla famiglia il Circolo Arcobaleno di via XXIV Maggio, l’ultimo luogo dove Hysaj sarebbe stato visto in vita prima della sua sparizione, e del 24enne Daniele Savoia. Entrambi sono stati rinviati a giudizio per omicidio volontario e occultamento di cadavere.

Nei giorni scorsi i due – che dal giugno 2021 sono detenuti in carcere, l’uno Genova e il secondo ad Alessandria – sono sfilati di fronte alla corte presieduta dal dottor Alberto Giannone rimarcando la propria assoluta estraneità ai fatti a loro contestati, seppur offrendo ricostruzioni diverse di quanto accaduto in quelle ore.

Primo a parlare, per oltre due ore, è stato Luppino, ritenuto il mandante dell’omicidio, che ha confermato di aver visto la vittima in quel pomeriggio presso il proprio circolo, spiegando però che l’uomo si sarebbe poi allontanato dal locale e di non averlo più visto.

In merito alla Porsche Macan, di proprietà di un ristoratore che allora gestiva un locale a Cherasco e che ora si è trasferito in Norvegia, veicolo che secondo gli inquirenti sarebbe stato utilizzato per trasportare il cadavere dal luogo dell’omicidio (un magazzino abbandonato nelle vicinanze nel circolo) a quello del ritrovamento, Luppino ha confermato di averne avuta la disponibilità già dal dicembre 2020, come pegno di un prestito da 15mila euro fatto al ristoratore, ribadendo quanto già rilevato in più occasioni dal suo difensore, l’avvocato torinese Renato Cravero. Ovvero che nella notte tra il 21 e 22 febbraio Daniele Savoia gli avrebbe chiesto l’auto in prestito per portare il proprio cane dal veterinario. "Ci demmo appuntamento all'alba davanti al Circolo Arcobaleno e gli consegnai la Macan con le chiavi. Nella serata me l'ha restituita". In quelle ore il Gps collegato all’auto avrebbe rilevato la presenza del veicolo presso le rocche di Popapaglia, luogo di rinvenimento del cadavere. E’ in quel lasso di tempo – e in particolare nel pomeriggio successivo all’omicidio – che secondo gli investigatori sarebbe avvenuto lo spostamento del cadavere.

Tra i fatti riportati dall’imputato, anche le modalità con le quali sono andati persi gli hard disk contenenti le registrazioni delle telecamere di sorveglianza del circolo. A farli propri, come già dichiarato dalla sorella di Luppino, "due albanesi passati al circolo la sera dopo la scomparsa". Nel locale, ha ribadito l’imputato, in quel momento ci sarebbe stata soltanto la donna, costretta a consegnare il materiale ai due sconosciuti.

A seguire la deposizione di Daniele Savoia, secondo gli investigatori l’esecutore materiale del delitto. Anche il 24enne ha negato qualsiasi coinvolgimento nei fatti contestati sostenendo però una versione diversa da quella riferita da Luppino e negando il particolare di aver richiesto l’auto per l’emergenza legata al cane. Savoia ha invece spiegato che in quella notte aveva sì cercato più volte di contattare Luppino, ma perché i due erano d’accordo che il mattino successivo sarebbero andati insieme a Vercelli, a trovare il papà di quest’ultimo. Non avendo però avuto risposta, nelle prime ore del mattino si sarebbe recato al circolo e lì avrebbe preso effettivamente in consegna l’automobile, ma per restituirla al legittimo proprietario.

"Il dato fondamentale emerso dalle deposizioni – è il commento dell’avvocato Renato Cravero, difensore di Luppino – è che il mio cliente è in carcere da quasi due anni perché ha fatto la stupidaggine di dare l’auto a questo suo conoscente. Nei suoi confronti non è emerso alcun elemento di prova diretto o indiretto. Siamo sul piano delle ipotesi. Non c’è elemento e non c’è nemmeno un movente. Anche quello della droga non pare utile in questa direzione, visto che dalle indagini è emerso che la vittima doveva denaro a una marea di persone, a partire da alcuni connazionali residenti in Svizzera, cui doveva 40mila euro per un acquisto di hashish, e che quel giorno doveva andare a Torino a pagare un debito di altri 23mila euro. Appena sparito ci fu chi si mise a cercarlo con una certa preoccupazione, persone che probabilmente sapevano di più di quanto poi riferito in aula".

Il legale ritiene quantomeno "strano che si valuti di disfarsi un cadavere non nella notte, ma in pieno giorno" e contesta poi la deposizione di Savoia: "Perché nega di aver chiesto l’auto per portare il cane dal veterinario, sostenendo invece che Luppino gli aveva chiesto semplicemente di riportarla al proprietario? Cosa nasconde, visto che anche quest’ultimo sostiene invece che fu proprio Savoia, nel restituirgli il mezzo, a riportargli l’episodio del cane?. Quella del mio cliente come mandante dell’omicidio è un’ipotesi priva di fondamento: non c’è una telefonata, un messaggio, nessuno che confermi. Le prove dove sono?".

"Le relazioni offerte dagli imputati appaiono inverosimili e tra loro contraddittorie", si limita a commentare l’avvocato Marino Careglio, che in giudizio rappresenta i familiari della vittima, costituiti come parte civile. 

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