Il Nazionale

Cronaca | 02 marzo 2023, 16:42

Ventimiglia: Omicidio Fedele, le motivazioni dell’Appello “Anche se la vittima fu fatta inginocchiare non basta per dire che è un crimine mafioso”

A gennaio venne ridotta da 20 a 13 anni e 10 mesi la pena per Domenico Pellegrino

Ventimiglia: Omicidio Fedele, le motivazioni dell’Appello “Anche se la vittima fu fatta inginocchiare non basta per dire che è un crimine mafioso”

Sono state pubblicate le motivazioni relative alla decisione della Corte di Assise di Appello di Genova che, il 24 gennaio scorso, aveva escluso l’aggravante mafiosa a carico del 25enne di Bordighera Domenico Pellegrino, in riferimento all'omicidio di Joseph Fedele, il 60enne francese, ma di origini italiane ucciso con colpi d’arma da fuoco. Il suo corpo venne ritrovato in un fosso, a Calvo di Ventimiglia, il 21 ottobre del 2020.

Con la decisione della corte genovese l'imputato, difeso dal legale Luca Ritzu, la condanna per Pellegrino era scesa da 20 a 13 anni e 10 mesi di carcere. La Corte d'Assise d'Appello aveva accolto le richieste della difesa dopo che la Procura generale aveva invece richiesto la conferma della sentenza precedentemente emessa.

Per il gup, in merito all'aggravante mafiosa, non c'erano dubbi. “Il luogo di campagna isolato dove è stato condotto il Fedele e dove si è consumato l'omicidio, sottolineava il giudice in sentenza, i punti in cui è stato colpito dai colpi d'arma da fuoco, vertice del capo e dietro la nuca, rendono verosimile che il Fedele sia stato fatto inginocchiare”. Anche le modalità di occultamento del cadavere nascosto “all'interno di un grosso tubo al di sotto del manto stradale” per il gup sono “modalità complessivamente rievocative di una sorta di esecuzione”. Secondo la Corte i motivi di impugnazione addotti sono fondati. All'imputato è stato contestato di avere agito ‘con le modalità tipicamente adottate da appartenenti a sodalizi di 'ndrangheta (sparando alla vittima un colpo alla parte superiore del cranio e un successivo colpo alla nuca) tali da richiamare alla mente e alla sensibilità del soggetto passivo il comportamento tipico di chi appartiene a un sodalizio 'ndranghetista’.

Nelle motivazioni della sentenza d’appello viene evidenziato come “Si ignori la ragione dell'incontro tra Pellegrino e Fedele, poiché la tesi esposta dall'imputato non è suscettibile di verifica. Questi ha riferito della conoscenza occasionale di Fedele per la strada in Francia nel maggio 2020, della richiesta di aiuto dell'uomo, della sua proposta di comprargli la sua Mercedes e della sua successiva intenzione di non concludere l'acquisto, ma di chiedere la restituzione dell'anticipo di 5.000 che gli aveva corrisposto nel mese di luglio. L'imputato ha aggiunto che conobbe Fedele perché gli si avvicinò, sentendolo parlare in dialetto calabrese e gli disse che avevano le stesse origini. Seguì un dialogo subito confidenziale tra i due nel corso del quale Pellegrino avrebbe informato lo sconosciuto che suo padre era titolare dì una impresa edile, ma aveva dovuto interrompere la propria attività perché arrestato. Secondo l'imputato il 22 settembre 2020 scoppiò un alterco, proprio perché non intendeva perfezionare l'acquisto dell'auto e la lite sarebbe degenerata. L'imputato avrebbe disarmato Fedele ed infine lo avrebbe ucciso durante la colluttazione, avvenuta nel furgone. Non si può escludere che i due si fossero incontrati per altro motivo. In ogni caso non è provato che Fedele, il quale peraltro abitava in Francia, sapesse che Domenico Pellegrino fosse imparentato con esponenti della 'ndrangheta del Ponente ligure né se questi avesse millantato di essere un sodale. Unico elemento certo è che Pellegrino sparò al capo ed alla nuca della vittima. L'imputato sostiene di averlo fatto all'interno dei furgone, dopo aver afferrato la pistola sfuggita a Fedele. Per quanto la ricostruzione dell'omicidio da parte di Pellegrino appaia inverosimile, perché i due si sarebbero trovati in uno spazio troppo angusto per compiere i movimenti che ha descritto, va tenuto conto che sono state rinvenute tracce di sangue nell'abitacolo del veicolo su punti in corrispondenza dei posto anteriore del passeggero che non trovano altra spiegazione, dovendosi escludere che tali tracce possano essere state lasciate dal contatto col cadavere. Non si può quindi negare con assoluta certezza che l'omicidio sia avvenuto nell'abitacolo”.

“Anche laddove si volesse sostenere che in effetti Fedele venne colpito all'esterno nel luogo isolato in posizione inginocchiata e prona – proseguono le motivazioni - non è possibile ravvisare in ragione soltanto di tali modalità di esecuzione del reato che l'omicida avesse agito allo scopo di porre in essere un crimine dettato dal contesto mafioso. Il sovrastamento della vittima da parte dell'assassino non è una modalità del tutto tipica degli omicidi consumati da appartenenti alla criminalità organizzata. In mancanza di altri connotati specifici, l'aggravante contestata non può essere ritenuta. Le attenuanti generiche possono essere accordate, perché l'imputato è un giovane incensurato ed ha dimostrato rammarico per il gravissimo reato commesso: per quanto tale atteggiamento possa essere stato dettato da ragioni strumentali, è pur vero che rappresenta un gesto di umiltà nei confronti dei parenti della vittima. Ma va soprattutto evidenziato che, pur avendo avuto netto sentore che le indagini si stavano orientando su di lui nel momento in cui seppe del sequestro del furgone, potendo quindi assicurarsi la fuga, magari chiedendo appoggio dei familiari, pochi giorni dopo invece si costituì. Accompagnò gli inquirenti sul luogo del delitto e fornì una ricostruzione dei fatti: non si può peraltro pretendere da un imputato sincerità e collaborazione assoluta, essendo suo diritto tacere e persino mentire. Il trattamento sanzionatorio deve essere dunque ridimensionato. La pena base pari ad anni 23 di reclusione è corretta, perché non può essere pari al minimo di legge, dovendosi considerare le modalità di esecuzione del reato, commesso con freddezza in un luogo isolato, nonché l'atteggiamento tenuto dall'imputato immediatamente dopo la commissione del delitto. Riportò in Francia l'autovettura della persona scomparsa, ostacolandone le ricerche. La riduzione per le attenuanti generiche non può essere piena, perché Pellegrino cercò di celare la propria responsabilità, pulendo il veicolo dalle tracce di sangue. Le ricerche si orientarono su di lui per puro caso, poiché il furgone con il portellone di colore diverso venne riconosciuto in occasione dell'arresto di suo zio". 

Carlo Alessi

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