Due richieste di condanna e due di assoluzione nel processo per le violenze sessuali del 3 dicembre 2021, una commessa su un treno della linea Varese – Milano e una tentata nella sala d’attesa della stazione di Venegono Inferiore, ai danni di due ragazze del 1999.
Per il pubblico ministero Lorenzo Dalla Palma gli imputati sono responsabili di quanto avvenuto quella sera e meritano pene severe: nove anni e due mesi di reclusione per Elayar Hamza, ventottenne marocchino, otto anni e un mese per Anthony Fusi Mantegazza, tradatese di ventidue anni.
Proprio Fusi, prima della chiusura del dibattimento, aveva letto un memoriale davanti ai giudici sostenendo di essere stato scambiato con un soggetto marocchino che all’epoca dei fatti viveva a casa sua. Ma sul suo conto, a detta del pm, pesano la confessione resa pochi giorni dopo i fatti, fornendo dettagli che solo una persona presente suoi luoghi delle violenze poteva conoscere, a cominciare dalla dinamica di una colluttazione con la vittima sul treno. Oltre al fatto che il giovane è stato riconosciuto a processo dalla ragazza che aveva subito lo stupro. Hamza, non identificato dalle vittime durante il dibattimento, sapeva però che sul treno era presente una bici nera, ha sottolineato il pm, e il suo telefono quella sera agganciò una cella compatibile con i luoghi delle aggressioni.
Ma i dati informatici sono rilevanti anche in chiave difensiva, come evidenziato dall’avvocato Monica Andreetti nel chiedere l’assoluzione per il tradatese Fusi: il suo telefono quella sera, all’ora dei fatti, agganciava una cella a Tradate compatibile con il locale dove lo stesso Fusi, ritrattata la confessione, ha detto di essersi trovato mentre le due ragazze venivano aggredite. In più, ha aggiunto l’avvocato, il colbacco indossato da uno degli aggressori (immortalato dalle telecamere della stazione ferroviaria di Tradate) non contiene tracce di dna riconducibili a Fusi, e nemmeno ad Hamza.
L’avvocato Maurizio Punturieri, difensore del ventottenne marocchino, ha motivato la propria richiesta assolutoria parlando di «deserto indiziario», dato dal fatto che il suo assistito non è stato riconosciuto dalla ragazza scampata alla violenza sessuale nella sala d’attesa, mentre la vittima dello stupro lo identificò in sede di indagine ma non in modo immediato e, soprattutto, affidandosi a tratti fisici (denti non perfettamente allineati, labbra carnose, un taglio su un sopracciglio) che sono proprie anche di un soggetto appartenente alla cerchia dei due imputati, scomparso dopo i fatti ma riconosciuto su una foto dalla ragazza abusata, che davanti a quella immagine, ha ricordato l’avvocato, era scoppiata in lacrime.
Sull’opportunità – evidenziata dal pm – di effettuare delle ricerche per risalire a quest’ultimo soggetto, e a quello con cui il tradatese in carcere ritiene di essere stato scambiato, i giudici hanno già deciso, esprimendo parere negativo. Si andrà a sentenza con quanto emerso dal dibattimento. E il ritorno in aula è previsto tra sette giorni.
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