Il Nazionale

Sport | 30 ottobre 2022, 20:05

Il buio della ragion cestistica. E la profezia di quella sera, in piazza Monte Grappa...

IL COMMENTO DI FABIO GANDINI - "Vi ci dovrete abituare..." ci disse Paolo Galbiati un mese e mezzo fa. Aveva ragione: questa Varese sta sconvolgendo i parametri e le abitudini di chiunque. In passato questa partita quasi buttata via contro Treviso sarebbe stata motivo di riflessione, oggi è un inno alla libertà

Il buio della ragion cestistica. E la profezia di quella sera, in piazza Monte Grappa...

“Vi ci dovrete abituare...”

È ormai notte in piazza Monte Grappa, i giocatori se la sono già telata, dopo le foto di rito, e così la maggior parte dei tifosi. A coach Paolo Galbiati va un po’ peggio: il giornalista locale lo bracca e lo trattiene per un’intervista, cui seguono due chiacchiere.

Piacevoli: la persona, non solo l’allenatore, è fragrante. 

Con il microfono mezzo accesso e mezzo spento, a un certo punto, arriva la profezia. Che suona più o meno così: sì, lo sappiamo che proporremo qualcosa che qui non si è mai visto e che sconvolgerà i parametri e le abitudini un po’ di chiunque... Portate pazienza.

Segue sorriso. Sincero. Di quella sincerità che non ammette repliche perché alternativa non c’è.

È passato un mese e mezzo e non abbiamo paura di smentita se sosteniamo che il buon Paolo aveva ragione da vendere: a una Varese così non eravamo abituati. E non sappiamo nemmeno se ci abitueremo mai.

Vedi Treviso e capisci. Vedi Treviso e quasi muori. E mentre una Masnago piena, totalmente in visibilio al 40’, ubriaca di un misto di euforia da scampato pericolo e di adrenalina da spettacolo entusiasmante, si sta riversando nel piazzale di fronte al palazzetto dove un DJ set sta trasformando il dopo partita in una discoteca, noi, sempre più basiti, tirandoci da soli i pizzicotti, proviamo a tirare le fila. Proviamo a dare un senso a questa storia.

Che non c’è: per anni un match del genere sarebbe stato da considerare un match quasi buttato via. Una gara, quindi, su cui riflettere. Oggi, invece, è e sarà la normalità di una squadra che vive il qui e ora del parquet in una sorta di trance.

Drogata di se stessa, di quello che sa fare e pure di quello che non sa fare (del quale, altamente, se ne sbatte). Drogata di ciò che trasmette agli altri, del bene placito di chi la comanda, della serenità – che a volte, per noi noiosi puritani, sconfina nell’azzardo – di chi l’allena, talmente “diverso” da non chiamare timeout nemmeno quando anche l’usciere del Lino Oldrini lo chiamerebbe.

Non ce ne voglia Treviso: ha fatto una partita gagliarda e non è parsa nemmeno così modesta come si poteva credere alla vigilia, perché ha americani onesti (e un vecchio campione: Banks) e un cagnaccio sul "pino". Ma nell’analisi non c’è spazio per lei. Come non c’è stato per  Trento e nemmeno per Brescia.

Varese fa tutto da sola. Con le sue contraddizioni, con la sua immaturità, con la sua bellezza. Si permette di tirare con il 70 per cento da due quando non dovrebbe nemmeno arrivarci al ferro, piccola com’è, senza lunghi (oggi pure senza quelli mezzi: Reyes), gli stessi che a volte rendono il canestro impenetrabile e, molto più spesso, lasciano delle autostrade così libere agli avversari che ti chiedi se facciano apposta.

Fa tutto Varese. Che becca i parziali quando non dovrebbe ma li recupera con la stessa non curanza con cui li incassa, considerando il cronometro che scorre un impiccio per boomer della pallacanestro. Fa tutto Varese, che si permette un Caruso setoso da 10 punti in 16 minuti e un Owens, decisamente più distratto, da 10 in 24. Fa tutto Varese, che esce da una delle due uniche sospensioni della partita chiamate dal suo condottiero perdendo palla. Fa tutto Varese, che nel suo mvp di giornata – quell’animale da canestro che risponde al nome di Jaron Johnson (28 punti e 6 rimbalzi) – ha un assassino dei sogni altrui che per poco non si trasformava in suicida.

Menomale che Sorokas, secondo noi tristissimo per non essere parte di questa festa surreale della palla al cesto, di questo inno alla libertà dei costumi cestisti, alla fine ci ha graziato due volte.

Grazie Paolo, vecchio cuore biancorosso.

E mentre fuori la musica continua e la gente balla come se fosse al Gilda, noi siamo qui a scrivere e non sappiamo nemmeno cosa.

L’unica luce sul sentiero è la profezia. Il resto è il buio della ragione. E va molto bene così.

Fabio Gandini

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