«Il nuovo palaghiaccio? Sarà un’emozione entrarci. Ma la cosa più importante - lo sappiamo tutti, lo vogliamo tutti - è vincere. Io son qui per vincere, i giocatori idem. Vincere, subito, quest’anno».
Vincere. Lo ripete decine di volte Claude Devèze, seduto su una sedia posta in mezzo al balcone della casa che ha preso in affitto. Siamo in pieno centro a Varese, a una salita di distanza dall’impianto che è e sarà ben più di un impianto: sarà il ritorno a casa di un popolo di naviganti contro voglia costretti per lungo, troppo, tempo a prendere la via del mare.
Il coach canadese cui i Mastini hanno affidato le loro fortune lo può capire meglio di chiunque altro. Perché? Perché anche per lui la Varese dell’hockey significa casa. Frase fatta? Puzzo di retorica? No, qualcosa di molto più serio: una promessa.
Risalente a due anni fa. Stagione 2020/2021. I gialloneri sono già degli hockeisti erranti, giocano a Como. Il covid arriva e mette una cesura tra il mondo di prima e quello di dopo. Devèze, una vita da idolo in Francia da giocatore, seguita da una solida carriera da allenatore sempre Oltralpe, è catapultato in un mondo nuovo. All’inizio si fa dura: «I primi mesi non sono stati facili, era tutto nuovo: per me, che non ero abituato al semi-professionismo e alle sue “abitudini”, e per i giocatori, che non mi conoscevano. Eppure siamo arrivati fino alle semifinale con il Merano, nonostante tutto, nonostante non avessimo una casa, nonostante non fossimo spesso nelle condizioni di lavorare, nonostante io non avessi neppure un ufficio… C’è un però: quell’anno è stato il migliore della mia carriera dal punto di vista della comunicazione e del rapporto con atleti e società. Dopo quella sconfitta Carlo Bino mi guardò e mi disse: “Claude, vai a Brest ora, vai a vincere. E così ho fatto. Ma io, nello stesso momento, ho pensato: qui tornerò un giorno, devo finire il lavoro, devo vincere…».
Così sia. E quanto è accaduto in mezzo non ha fatto altro che favorire il lieto fine odierno. Devèze, dopo aver conquistato il titolo della seconda serie transalpina proprio con il Brest (per la seconda volta, dopo quello ottenuto a Briançon) pensa che per lui si possano aprire le porte della League Magnus. Non è così: «Ho capito che non sarebbe stato possibile e ho agito di conseguenza: se avessi potuto allenare in prima serie sarei rimasto lì, ma visto come si erano messe le cose sono partito per il Canada con una convinzione: ok, nella prossima stagione ritornerò in Europa solo se mi chiamerà Varese».
Qui ritroverà «una squadra più completa rispetto al mio primo anno, anche se sono convinto che per vincere serva ancora qualche giocatore: ne parlerò con Matteo (Malfatti ndr) e con Carlo (Bino), ci capiremo perché abbiamo lo stesso obiettivo». E, soprattutto, ritroverà una formazione «più consapevole di voler vincere. Lo dico perché quanto abbiamo costruito insieme due anni fa sarà la base di ciò che faremo quest’anno. Pressione? Ci sarà, ovvio: è il mio lavoro e l’accetto. Ma sarà una pressione diversa rispetto a quella di Brest: lì era come se fossi solo, qui lavorerò con e per i miei giocatori, con e per la mia società. Fa tutta la differenza del mondo».
Devèze ha la capacità di farti venire i brividi quando parla dei “suoi” uomini: «Ritroverò Vanetti, il mio capitano. Nel 2019/2020, la prima volta in cui ci siamo incontrati, gli ho stretto la mano e, dopo cinque secondi, gli ho detto: “Andrea, tu sarai il mio capitano”. E lui: “Ma coach… non mi hai ancora visto giocare…”… E io: “Vero, ma sono già sicuro”. Questione di body language, questione di comunicazione. Lui, Borghi, Schina, Mazzacane, Piroso che è maturato molto: mi conoscono, li conosco, saranno una presenza fondamentale».
I soldati del generale Claude non sono ancora finiti: «Gli stranieri? Desautels è un grande difensore, Francis Drolet è con me da otto anni: so tutto di lui, dentro e fuori dal campo, e so anche che il gruppo italiano è contento del suo ritorno, perché sono consapevoli che non sia un mercenario».
L’ultimo messaggio di questa chiacchierata che, fin dal primo “vincere”, sembra essere salita sulla macchina del tempo, tanto l’ardore del personaggio è stato capace di riportare alla mente i giorni mitici dell’hockey cittadino, Devèze lo riserva ai tifosi: «Chi è capace di andare a Milano per vedere una partita, non so immaginare cosa possa fare al palaghiaccio… So che sono capaci di essere il settimo uomo in campo e non vedo l’ora di ritrovarli: ragazzi, due anni fa non avevamo una casa, ora ce l’avremo».
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