«Prendo sempre le botte dalla maestra», disse il piccolo di tre anni alla madre, che a distanza di qualche giorno, dopo aver chiesto al figlio come fosse andata all’asilo ed essersi sentita dire «oggi le botte non le ho prese», decise di rivolgersi direttamente all’insegnante per un confronto. «Ma come ti permetti? Per una cosa così rischi una denuncia», rispose l’educatrice, prima di tranquillizzare il genitore, riconducendo il tutto ad un caso isolato.
Gli episodi però non si esaurirono, al pari del malessere manifestato anche da altri piccoli, in totale più di dieci, tutti iscritti a una scuola dell’infanzia paritaria di Cantello, e a finire nei guai fu proprio la maestra, classe 1987, che oggi deve difendersi dall’accusa di maltrattamenti in un processo penale a suo carico, in corso in Tribunale a Varese.
I carabinieri, tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, si occuparono di verificare i racconti che avevano messo in allarme diversi genitori - alcuni di loro si sono costituiti parte civile nel procedimento, dove sono rappresentati dagli avvocati Paolo Bossi e Anna Maria Brusa - tanto che una mamma aveva deciso di denunciare tutto. Ci furono delle intercettazioni audiovisive e i dispositivi installati dai militari dell’Arma negli spazi comuni della struttura - in una classe e nel corridoio - iniziarono a captare tutto. O meglio, non captarono anomalie nei primi giorni di dicembre, quando però l’odierna imputata era assente per malattia. Al suo rientro iniziarono i problemi.
Gli episodi erano pressoché quotidiani, ha raccontato in aula, davanti ai giudici del collegio, uno degli operanti di polizia giudiziaria che all’epoca dei fatti si erano occupati delle indagini. I bambini ricevevano scappellotti sulla nuca, venivano tirati per le orecchie, messi faccia a faccia con la maestra, quando la stessa li sgridava: è quanto i familiari hanno appreso visionando le immagini registrate dai carabinieri e ora agli atti del processo. «Mio figlio era continuamente nervoso - ha ricordato, sempre in udienza, una mamma - Era incontinente, a casa lanciava le cose contro il muro, parlava di queste botte in testa che riceveva continuamente, e faceva il nome della maestra. Diceva che non voleva più stare in quella scuola».
Era l’età, unita a situazioni e sensazioni nuove, a causare quelle anomalie comportamentali: questa la spiegazione che un’altra madre ricevette dall’odierna imputata, dopo che sua figlia di due anni - già abituata a gestire in autonomia i bisogni fisiologici - aveva ricominciato ad essere incontinente. E si agitava spesso. Anche il responsabile della struttura era stato rassicurante: l’insegnante ha un’esperienza decennale, deve gestire parecchi bambini. Esistono le giornate no. Durante le attività quotidiane, inoltre, le sgridate erano casi isolati, della durata di pochi minuti.
Il tempo, per il resto, trascorreva in tranquillità e la maestra era amorevole con i bambini: lo ha confermato l’operante sentito in udienza, riferendosi alle immagini raccolte tramite intercettazione, nel rispondere alle domande dell’avvocato Massimo Tatti, difensore dell’imputata. Lo stesso difensore ha poi chiesto ad una delle mamme, chiamate a testimoniare, se avesse mai notato segni di percosse sul corpo del figlio. Risposta negativa.
In determinati sistemi educativi - ha aggiunto ancora l’avvocato Tatti - è previsto che il bambino sostenga lo sguardo dell’adulto, anche forzatamente, per prendere coscienza dei comportamenti sbagliati, da non ripetere. «Mi ha preso forte così», disse un giorno uno dei bambini alla mamma, mimando il gesto con cui la maestra lo aveva sgridato, tenendolo per il mento, in modo tale da costringerlo a guardarla. E fu a seguito di uno di quei racconti che la mamma decise di rivolgersi alle forze dell’ordine. Al figlio era scappata una frase su una stanza buia. Il piccolo si era subito tirato indietro: «Mamma, non te lo posso dire», ma poi si era aperto con il padre: a scuola c’era una “stanza del castigo”. Ci si finiva da soli e, una volta dentro, la maestra chiudeva a chiave.
Su quel periodo di incertezze e grandi timori per mamme e papà - i primi casi risalgono al 2018 - arrivò infine l’intervento inaspettato del lockdown, insieme alla decisione dell’insegnante - dopo l’inizio delle indagini - di lasciare definitivamente la struttura. Tra le mamme coinvolte nella vicenda c’è chi ha scelto di rivolgersi ad un neuropsichiatra: per se stessa e per il proprio bambino, ha detto la diretta interessata prima di concludere la sua testimonianza davanti ai giudici: «Mio figlio oggi sta molto meglio, ma appena sente di aver sbagliato qualcosa chiede di essere perdonato. E piange».
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