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Sport | 04 maggio 2022, 06:10

"Il Grande Torino resta immortale perché è simbolo di rinascita di un popolo"

Così Don Riccardo Robella, padre spirituale granata, racconta la magia del 4 maggio: "Ho una gran voglia di tornare ad abbracciare la gente granata a Superga. Mazzola e compagni sono come dei fratelli maggiori acquisti"

"Il Grande Torino resta immortale perché è simbolo di rinascita di un popolo"

Questo 4 maggio climaticamente non è diverso da altri, con la pioggia annunciata compagna di giornata, ma sarà molto diverso dagli ultimi. "Si torna finalmente a Superga ed io ho una voglia matta di riabbracciare il popolo granata": non usa giri di parole don Riccardo Robella, padre spirituale granata, per raccontare come sarà il Giorno del Ricordo del Grande Torino.

Dopo due anni di pandemia (e la celebrazione fatta in Duomo nel 2019, in occasione del 70esimo anniversario) la gente del Toro torna nel luogo simbolo per rendere omaggio agli Invincibili. Per questo, comunque andrà, sarà una giornata speciale.

Don Riccardo, se deve scegliere un ricordo personale del 4 maggio, qual è la prima cosa che le torna in mente?

"Non torno a quando ero bambino, ma al 2010, quando don Aldo Rabino mi chiese di andare a celebrare con lui a Superga. Subito ero frastornato, non mi sembrava vero, ma fu una cosa bellissima ed incredibilmente emozionante. E mai mi sarei immaginato che poi lui mi indicasse quale suo successore. Un onore e un onere pazzesco".

Come si può spiegare l'immortalità del Grande Torino, a quasi 80 anni di distanza dalla tragedia di Superga?

"Nella società dell'immagine, che tende ad appiattire tutto, è tornato forte il valore della narrazione e narrare il mito del Grande Torino significa continua a farlo vivere, tramandandolo di generazione in generazione. E così capita che ogni anno, invece che perdere fascino, questa cosa cresca e aumenti valore. Perché più si è distanti dai fatti, più viene consacrata nell'aura del mito quello che ha saputo fare quella squadra straordinaria. E poi i tifosi del Toro sono ancora legati a valori arcaici, al racconto e ai libri forse più che alle nuove tecnologie, quindi considerano una necessità quella di tramandare quei valori di padre in figlio".

Ma aveva un segreto quel gruppo di ragazzi straordinari, secondo quello che le è stato raccontato?

"Il Grande Torino ha insegnato che si possono anche superare i propri limiti. Quella squadra era certamente fortissima, ma aveva due o tre punti di eccellenza assoluta e mi riferisco a Valentino Mazzola e a Virgilio Maroso, ma l'amalgama di quel gruppo, il saper essere una squadra in cui ogni singolo aiutava gli altri dieci faceva si che se il valore era 10 in campo si trasformava in 12, moltiplicando il valore del singolo atleta. Poi è naturale che non tutti fossero uguali, tanto è vero che furono gli stessi compagni di squadra ad andare dal presidente Novo a dire di diminuire loro lo stipendio per aumentare quello di Mazzola, pur di guarire i suoi mal di pancia ed evitare di vederlo andare altrove".

Dovendolo spiegare ad un bambino di dieci anni, che ne ha sentito solo parlare, magari dal nonno, cosa è stato il Grande Torino in quegli anni?

"Il simbolo della rinascita di un popolo. Quei ragazzi erano gli alfieri di un'Italia che si identificava in simboli positivi e vincenti dopo una guerra persa e le tragedie che si era portata dietro. Loro, Fausto Coppi e Gino Bartali erano gli ambasciatori dell'Italia migliore nel mondo. E forse tutti noi ancora oggi li sentiamo come dei parenti acquisti, dei fratelli maggiori cui ispirarci e tornare a Superga è importante proprio perché ci hanno separato da loro per troppo tempo".

Dal mito all'attualità, dalla storia al presente: a don Riccardo quanto piace questo Toro di Juric?

"Dopo due stagioni molto tribolate c'è stata la giusta programmazione estiva, per un anno non abbiamo avuto la solita sfiga cosmica, anche se gli infortuni non ci hanno dato mai pace, ma questa squadra si è dimostrata da subito più solida. Juric ha inciso molto a livello mentale, rivalutando molti giocatori che sembravano persi, dando un'impronta ben precisa alla squadra, partendo dal sistemare la difesa, il reparto che negli ultimi due anni aveva sofferto di più. La salita a Superga mi darà l'occasione di fare una bella chiacchierata per poterlo conoscere meglio".

Massimo De Marzi

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