È il finale più bello del mondo, questo.
Perché va messo tra parentesi, perché durerà una sera e magari qualche ora in più (massì dai…) e poi lascerà spazio alla realtà. Nella sua complessità.
Perché vive di se stesso, svincolato da ciò che l’ha preceduto e da ciò che lo seguirà. Perché ha avuto quel giusto alone di “dramma” ad ammantarlo e il sollievo del lieto fine a firmarlo.
Perché c’erano loro, i tifosi contro, tanti, odiati, ma encomiabili. E loro hanno trasformato Masnago, che se vuole (sottolineiamo se vuole) non è seconda a nessuno, in una torrida corrida, in un viaggio verso il passato, quando le domeniche erano tutte un nemico e un batticuore.
E perché Varese ha dovuto riscoprire, in questo ultimo, drammatico, chilometro, tutta se stessa, per farcela. Quel poco o tanto che è. Un tempo e mezzo a giocare con il fuoco e con il topo Fortitudo, mettendo in mostra l’insostenibile leggerezza dell’essere che ha contraddistinto questa stagione, croce perdurante, delizia solo nella versione sprint di inizio Roijakkers. Leggerezza materiale, che ben conosciamo, e leggerezza di spirito, difensivo e in quella tendenza a complicarsi la vita.
Però oggi, dal Nano in giù, la beneamata ha avuto di più di chi aveva davanti. Dal Nano in giù tutti si sono rifiutati di perdere. Ed è per questo che questo è il finale più bello del mondo.
Parentesi, dedicata a lui. A quel ragazzo timido e gentile, che però quando prende in mano il volante guida come un “parigino”, non sbaglia una curva. Non è solo un sopravvissuto, è un coach vero. E oggi la firma non l’ha messa solo con la vittoria, ma anche nel modo in cui è arrivata: cambiando il quintetto iniziale con le sue idee e girandolo in base alle stesse. E’ andato a colpire la Effe con Reyes e l’agilità.
Grazie coach Seravalli: se “culo non si è mangiato pigiama”, come diceva coach Bosha Tanjevic, il merito è tanto tuo.
Il finale più bello del mondo.
Di un film che non è stato, invece, memorabile. Ne sono accadute troppe in questa stagione e, al di là della sofferenza provata per i risultati sportivi, c’è quella per aver visto il nome di Varese diventare sinonimo di precarietà e confusione. Ed è una recidiva.
In un clima da fine impero.
Alla nuova società, a Scola e Arcieri, il merito, grande, di aver messo mano con coraggio e vigore ai problemi, senza paura di incidere, senza nemmeno quella di sbagliare. La salvezza è il risultato plastico del loro lavoro. Il prossimo, la richiestà più pressante che tutti faranno loro, è quella di una normalità il più possibile ordinata e competitiva: con la straordinarietà abbiamo rischiato di bruciarci per due anni di fila.
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