Dopo l'orrore e la tragedia di Mesenzana, è inevitabile porsi la classica domanda: come può un padre uccidere i propri figli, sangue del suo sangue?. Quali meccanismi potranno mai celarsi nella mente di un soggetto che si spinge fino al punto di compiere una simile azione folle e insensata? E il successivo suicidio può essere considerato una conseguenza dell’immediato rimorso provato per l’omicidio della prole?
A proposito di questi dubbi, ne abbiamo parlato con il criminologo varesino Franco Posa (foto in alto), chiedendogli, innanzitutto, che cosa scatta nella mente di un soggetto giunto a compiere un gesto del genere: «Un sentimento di devastante disperazione, che lo ha portato a eseguire un crimine per una disregolazione degli impulsi dominata evidentemente da un’affettività e da un comportamento relazionale con questi piccoli devastato per la separazione dalla coniuge».
E così, il conseguente atto di togliersi la vita, che «è il risultato di un impossibile sopportazione di un evento di tale drammaticità ed è nel progetto premeditato: prima l’omicidio dei piccoli e poi l’aggressione su sé stesso».
Quindi un altro figlicidio che fa rumore in provincia, dopo quello compiuto da Daniele Paitoni, avvenuto a Morazzone nei primi giorni del 2022. Si può fare una comparazione tra i due casi? «Possono essere in qualche modo comparati, ma è importante sottolineare come ogni caso è una storia a sé. Evidentemente le relazioni familiari difficili possono essere un comune denominatore, ma il modus operandi è differente. Nel caso di Morazzone, non c’è stato il sacrificale del genitore, la criminodinamica è stata studiata con l’intento di non terminare la propria vita. In questo caso è diverso, ma la difficile situazione familiare può essere un comun denominatore».
Curioso e tragico allo stesso tempo come due casi simili si siano verificati in così poco tempo in una provincia come quella di Varese, ma Franco Posa afferma che «non c’è una relazione territoriale, è solo un caso che i fatti siano avvenuti nella stessa area».
Per concludere, il criminologo pone però l’accento su un altro fattore: «Viviamo in un’epoca difficile: l’isolamento costretto nel periodo di pandemia e l’aver dovuto mantenere stretti rapporti potrebbe aver fatto maturare problematiche legate ai rapporti familiari».
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