Bisogna guardarsi intorno, a volte, per capire quanto si è felici dentro di sé. Stasera lo abbiamo fatto più volte…
Nel finale, ovviamente, quando l’ultimo tentativo di Trento si è spento nel nulla consacrando l’impresa. Non ce n’era uno rimasto seduto, a Masnago. Nemmeno noi.
Ma era successo anche in precedenza: alle bombe di capitan Ferrero, ovvero la prima liberazione di chi per due anni è rimasto a casa, oppure ancorato al proprio seggiolino solitario perché non c’era proprio nulla per il quale valesse la pena alzarsi. Che a svegliare il torpore sia stato proprio Giancarlo non è peraltro un caso: è come se quelle tre triple le avesse segnate uno degli spettatori, la Marisa, lo zio Pino, il Roberto.
Lui è noi.
E poi anche un’altra volta, quando è uscito dal campo il giovane Librizzi all’inizio: sul suo tabellino alcuni errori, ma per lui sono scrosciati gli applausi. Perché ha tutta la vita cestistica davanti, perché é “nostro”, perché… perché Varese è così, a volte non perdona, come il peggiore dei colossei. Ma a volte fa commuovere per il sostegno che riesce a regalare a piene mani.
Deve vedere qualcosa per convincersi a farlo, tuttavia. Quel qualcosa è una squadra che noi ora non toccheremmo più, anche a costo di rischiare. Non perché così sia perfetta, o non migliorabile: ma per il calvario che ha percorso per arrivare a essere tale.
Sono tre vittorie consecutive, due contro un’avversaria che aveva tutto per dominarci, ci ha provato come mai nessuno ed eppure non c’è riuscita. E’ rimbalzata, come si fa contro l’impossibilità conclamata. Lasciate perdere il finale roccambolesco e a conti fatti bussola impazzita nell’indicare il vincitore: la Dolomiti Energia ha perso con il +12 in mano a 4’ dalla fine… Cosa ci può essere, tre giorni dopo un’altra sconfitta, di manifestatamente più impossibile?
A Trento era stata vittoria a rimbalzo, oggi pareggio: sicuri che manchino davvero i lunghi? La banda di Roijakkers non ha chili né centimetri, ma le carambole le prende di tempismo, di voglia, di rapidità. E poi 21 assist contro 12, 8 sole palle perse, pur correndo come degli ossessi. E fin qui I numeri.
Poi ci sono le sembianze. Oggettivamente indecifrabili a volte. Come le gerarchie. C’è solo un indispensabile e si chiama Giovanni De Nicolao: dietro ci sono coppie da battaglia (Vene-Sorokas), jolly da pescare nel mazzo (Caruso), giovani da lanciare senza paura (Virginio e Librizzi), veterani da cavalcare e poi dimenticare (Ferrero), un Reyes che entra ed esce come un’ala nell’hockey, un Beane oggi mezzo infortunato e la pepatencia Keene.
Pochi? Quasi troppi…
Dove vogliamo arrivare? A qui: facciamo parlare di noi (dopo aver fatto ridere l’intera Italia del basket per mesi…) e non tocchiamo la Varese ritrovata. Premiamo la fatica dei superstiti, dei non codardi o mercenari, riconoscendo la loro e la nostra gioia. Finiamolo così questo campionato, salviamoci con chi da due settimane ci ha restituito la voglia di vivere declinata al basket e alla passione biancorossa.
Non perdiamo nessuno di questi alfieri della felicità e dei loro pochi o tanti minuti attuali…
Una provocazione? Per certi versi sì, ovviamente: ci accorgiamo anche noi dei chili che mancano, dei piccoli portati in post basso e abusati, della dipendenza dal teppista treccioluto e di altri problemi… E se dovessimo proprio intervenire, di certo lo faremmo con un elemento di raccordo, di complemento, qualcuno che non spezzi questo delicatissimo primo fiore di primavera che è il nuovo, strano e a volte pazzo equilibrio della Openjobmetis 2021/2022.
Poi però pensi anche a questi anni di eterni appelli alla morigeratezza, agli allarmi lanciati ripetutamente sulla mancanza del grano, a una società ancora precariamente in bilico sul filo delle difficoltà economiche (sì, signori, il futuro è ancora lontano in questo senso…). Pensi alle casse, insomma, che rimangono sempre con l’eco dentro…
Ecco: sicuri che sia solo una provocazione?
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