I fischi si sentono sempre di più degli applausi, va da sé, fondamentalmente perché il male fa sempre più rumore del bene: è destino.
Ma a quell’infima parte di palazzetto che - in mezzo a un mare di giusta gratitudine - mostra contrarietà anche davanti al semplice ricordo, noi umilmente chiediamo “perché”: perché fischiare chi in 5 anni, insieme a tutti gli altri meriti, almeno è stato capace di evitare - con la serietà del suo lavoro - gli scempi che l’anno scorso e quest’anno, da quando Lui è stato cacciato, stiamo ammirando?
L’onestà intellettuale non è di tutti, d’altronde. Peraltro, a rilevare, non è stata nemmeno l’accoglienza appena descritta, ma quanto accaduto al 40’: con il -40 scritto sul tabellone e 106 punti subiti dai propri beniamini, dallo stesso pubblico per Attilio Caja è partito addirittura un coro, mentre Varese collezionava solo un mare di fischi, talmente impetuoso che non ne ricordiamo uno simile.
Esiste una sintesi migliore per la situazione in cui versa la Openjobmetis in questo incipit stagionale? No: il Caja cacciato torna, stra-domina e viene osannato. Punto.
Attilio ha scritto la vendetta perfetta, perché puramente tecnica. Ha colpito nel profondo l’inadeguatezza varesina con la semplicità del suo gioco, quella che per anni a queste lande abbiamo apprezzato. Gli alto-basso a punire i cambi difensivi, il giro palla, l’attenzione in difesa, le regole chiare: è bastato questo non a far perdere, ma a far naufragare i biancorossi.
Davanti al generale Artiglio si devono inchinare tutti. Tutti. Tutti questa sera - e dopo questo inizio di stagione - devono sentirsi in difetto, colpevoli, in debito con un pubblico e un ambiente che continua a vederne troppe e sta giustamente tirando la corda (lo dimostra il numero di presenze al Lino Oldrini).
A fine gara si è dimesso Andrea Conti (leggi QUI), ma non è l’unico colpevole, non può esserlo. Come non lo è solo Adriano Vertemati e non lo sono solo i giocatori. È inevitabile che la parte tecnica, stando a quello che si vede in campo, sia la prima ad aver esteriorizzato la sua inadeguatezza: la Varese 2021/2022 è una squadra costruita evidentemente in modo sbagliato, mancante di un playmaker e di un tiratore. Ed è una squadra sulla quale la mano dell’allenatore non si vede, che difende malissimo, persino peggio di quella dello scorso anno che non aveva le caratteristiche fisiche per stare a galla. Non ha gerarchie. La Openjobmetis sotto ai nostri occhi è insomma mal edificata e mal allenata, almeno finora.
Ma se c’è un vero colpevole, il più colpevole di tutti, questo è la società. È il consiglio d’amministrazione, dal primo all’ultimo dei suoi membri. È Varese nel Cuore. È lo sponsor. È chi preferisce il titolo di un giornale alla chiarezza e all’onestà, chi passa le sue veline agli amici invece di contribuire alla giusta informazione, come se gestire la Pallacanestro Varese fosse una cosa da carbonari e non una cosa seria, che chiama anche la dignità della stampa - TUTTA - e dei tifosi. È chi promette da anni e non mantiene, salvo uscire fuori quando il vento del cambiamento soffia e la sedia sotto il sedere un poco trema.
E potremmo andare avanti per righe: il risultato di tutto ciò non può che essere la confusione, la disorganizzazione, le figuracce. Perché poi non c’è sempre un Caja che ti salva e ti fa diventare meglio di quello che sei, soprattutto se lo cacci via.
Paga Conti. E non quelli dei titoli. In fondo loro mettono i soldi, pochi o tanti che siano, e possono fare quello che vogliono. Senza di loro, il nulla. Guai a non scriverlo sempre sempre sempre a caratteri cubitali. Davanti ai dati di fatto, le critiche, come questa, stanno a zero.
Ma visto che pare che il futuro sia Luis Scola, per lui subito una prece: prima di mettere la grana, cambi questi modi di fare da dilettanti. Modi che rendono Varese più piccola persino di quella che è.
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