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Sport | 14 giugno 2021, 15:45

Bandiera ammainata? No, per sempre bandiera. Ferrero resta a Varese

Il capitano sarà per altri tre anni il simbolo della società biancorossa e di una città che ama il basket. Solo dieci giorni fa era praticamente un ex, poi la Pallacanestro Varese ha meravigliosamente ritrovato la strada maestra, quella che va a tutelare i valori più importanti, anzi fondamentali

Bandiera ammainata? No, per sempre bandiera. Ferrero resta a Varese

La più grande bandiera dell’era moderna è una sorta di sopravvissuto. Un miracolato. Uno di quelli che, dopo aver toccato la porta del mondo dei morti, la richiudono e tornano in vita, lasciando senza spiegazioni anche chi sarebbe deputato a darle. 

Nel suo caso il viaggio di ritorno - dalla morte di una storia d’amore e di identificazione sportiva senza pari nell'epopea cestitica locale del terzo millennio - è accaduto tre volte. Non ci si crederebbe, per uno così amato, così importante, così capitano, così varesino pur senza esserlo, vero? Eppure è così. 

La prima qualche mese dopo essere arrivato sotto al Sacro Monte, nella stagione 2015/2016: messo in fondo alle rotazioni da Paolo Moretti, a “salvarlo” furono le sue prestazioni da bello di notte (alla Zibì Boniek) in Fiba Europe Cup, avventura che - anche grazie a lui - arrivò a una quarantina di secondi dal titolo. La seconda due estati in seguito: il general manager Claudio Coldebella aveva già comprato il biglietto del treno, e non per se stesso: per la bandiera. A nulla era valso un altro giro di giostra, da protagonista, sul campo. Quella volta a intervenire fu l’amministratore delegato Fabrizio Fiorini, uno che di solito si occupava di conti, più che di ali piccole o grandi. Di solito, ma non nel caso di specie.

E infine una decina di giorni fa, quando, per qualche ora, Giancarlo Ferrero è stato un ex giocatore della Pallacanestro Varese

Lui e i dirigenti biancorossi si erano incontrati dopo un lungo periodo di silenzio e di sguardi che sapevano di doversi dire qualcosa ma non ne trovavano il coraggio. Anche perché quel qualcosa era una cosa parecchio difficile da dire. Una cosa che suonava più o meno così: Giancarlo, per te qui non c’è più spazio. La frase, sognata come un incubo nei giorni dell’attesa senza comunicazioni, era infine arrivata nel meeting suddetto a trafiggere il (anzi l’ex) capitano come la lama di un pugnale dentro al costato: Giancarlo, per te qui non c’è più posto, se non in forme, ruoli ed emolumenti incompatibili con la definizione sia di “giocatore vero”, che di “capitano”, che di “bandiera”. E infatti anche Pallacanestro Varese tali forme non aveva nemmeno provato a offrirle veramente: meglio dirsi addio.

Davanti alla sovrabbondanza di ali rinvenuta nel roster e a quel contratto che consentiva una facile uscita, tutto aveva perso improvvisamente di valore. Tutto. Se non nei sentimenti, nella realtà dei fatti. Svaniva l’atleta che aveva dimostrato con fatica, sudore e prove convincenti di meritarsi la massima serie dopo mezza carriera passata nel secondo campionato; l’ala piccola diventata senza paura ala forte tattica per azzardo di un allenatore - Attilio Caja - che su di lui aveva basato la rinascita biancorossa e lo aveva eletto capostipite di un'era operaia, fragrante e orgogliosa; il tiratore mancino che trafiggeva i canestri dall’angolo. E svaniva l’uomo che con i suoi sorrisi, i suoi “sì”, la sua semplicità, la sua serietà aveva saputo in sei anni conquistare una città intera. Uno per il quale la Pallacanestro Varese era - semplicemente - tutto: che si trattasse di fare uno scivolamento difensivo in campo, firmare un autografo a un tifoso, mettere la faccia davanti a un giornalista in un momento buio o prestare la propria immagine per il bene biancorosso.

Giancarlo Ferrero era Varese. Anzi no, a quel punto non lo era più.

Chi ha cambiato il corso della storia? È stato il coach in pectore, Adriano Vertemati, che prima di sbarcare a queste lande ha voluto sincerarsi di non perdere una chiave che avrebbe potuto aprirgli tante porte, sia tecniche che ambientali? È stata la proprietà, normalmente avulsa a questioni tecniche, a far sentire la sua saggia voce davanti a un addio choccante? Ci ha messo lo zampino Luis Scola, presente e - chissà se futura - eminenza grigia del sodalizio?

Quel che conta di più, però, è il senso generaleal cospetto dell’evenienza di perdere Giancarlo Ferrero, Varese ha ritrovato una meravigliosa strada maestra, come solo chi ha in mente quali siano i valori più importanti da salvaguardare sa fare.

Il resto lo ha fatto Giancarlo, perché per avvicinarsi tutti devono fare un passo. Che lui l'abbia compiuto, tuttavia, non è una sorpresa: a lui bastava solo chiedere, perché non aspettava altro. Lui, lontano da Varese, non si è visto nemmeno per un secondo.

Da bandiera ammainata a per sempre bandiera. Nei prossimi tre anni, quelli che verranno vergati sulla scadenza temporale del prossimo contratto, il cielo della Varese del basket avrà di nuovo i colori di casa.

Fabio Gandini

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