Il Nazionale

Sport | 28 marzo 2021, 21:04

Quei cazzotti restituiti, quell’equilibrio che tutto cambia, quei campioni tornati normali: ora sì che il finale della storia potrà essere bello

IL COMMENTO DI FABIO GANDINI Trento arriva a Masnago e prova a far piombare la Openjobmetis nelle sue vecchie difficoltà: Varese la rispedisce al mittente con le sue stesse armi, con la sua stessa intensità fisico-atletica, con la sua stessa faccia cattiva. Ne viene fuori la miglior partita dell’anno. I simboli? Sono diversi. E si chiamano Egbunu e Scola

Quei cazzotti restituiti, quell’equilibrio che tutto cambia, quei campioni tornati normali: ora sì che il finale della storia potrà essere bello

Difficile non essere felici, pieni, rinfrancati dopo una vittoria del genere: dietro questi 18 punti che hanno sotterrato Trento c’è un tempo che è passato. E non lo ha fatto invano.

La Dolomiti Energia è entrata in campo questa sera con la voglia matta di riportare la Openjobmetis alle sue origini stagionali, a quella versione cui bastavano un paio di pugni ben assestati per cadere inesorabilmente al tappeto. Normalmente questi pugni erano cazzotti difensivi: contro le retroguardie dure, atletiche, che sanno riempire gli spazi, aggredire gli esterni e negare lo sviluppo del gioco, la vecchia Varese naufragava nel placido mare della sua inadeguatezza. Finiva, come finiscono le armate senza armi, quasi accontentandosi. Crollava, sotto parziali che la lasciavano senza risposte.

La solfa ora è profondamente cambiata: ora i cazzotti vengono restituiti. Paradigmatico il match odierno: i padroni di casa provano a scappare subito, ma capiscono presto che gli ospiti non sono venuti sotto al Sacro Monte senza l’intenzione di vendere cara la pelle. Trento inizia a pressare a tutto campo, poi a togliere il respiro a Ruzzier e soprattutto a Douglas, poi ancora a rendere impossibile ogni servizio ai centro-boa in maglia bianca, costringendo il gioco biancorosso a rimanere ben fuori dall’area.

Ce ne sarebbe abbastanza per sgretolarsi. E invece la nuova Varese contrattacca. Feroce. Non solo si dimostra paziente in una fase offensiva diventata complessa da interpretare, la cui pratica però viene brillantemente sbrigata con puntuali ribaltamenti di lato e buone percentuali al tiro da fuori, che a poco a poco riaprono quel pitturato prima nascosto: il vero punto è che Varese mostra il petto sullo stesso piano di lotta proposto dai trentini. Si mette a difendere con la stessa, assatanata indole. Ribatte colpo su colpo a livello di intensità fisico-atletica.

Ed è così che viene fuori la miglior partita del campionato, almeno sotto questo punto di vista. Un qualcosa che ci fa trasecolare, pensando da dove si è partiti e dove si era anche solo un mese fa. Il fragrante successo di stasera è tutto qui, in questa risposta orgogliosa e vera, in questa dignità ritrovata che accende la battaglia invece di evitarne il profumo, in questa crescita che permette di esserci, non di subire. Ok le prodezze individuali, la prestazione totale di Douglas e quella salvifica di Ruzzier (ne parliamo nelle pagelle), ma l’equilibrio che tutto quanto scritto esprime conta molto di più.

Ed è un equilibrio che ha due simboli diversi, nella cui sintesi però si nasconde il segreto di un cambiamento lungo come lo sono i suoi protagonisti: si tratta di Egbunu e Scola. Il primo ha cambiato la temperatura delle plance, le ha rese impermeabili modificando le abitudini degli attaccanti avversari (che prima erano soliti pasteggiare nei loro pressi) non solo con le stoppate: riesce a farlo con la sua sola presenza. Andatevi a vedere le prime tre azioni difensive odierne: praticamente un clinic senza nemmeno toccare il pallone. E, dietro questa spinta, ora anche gli esterni osano di più, premono di più, valgono di più in una fase rimasta tabù per mesi.

Luis è diventato invece normale. E nella sua normalità a risplendere è finalmente Varese. Ora può permettersi di segnare dieci punti, di aspettare la partita, di essere chirurgico: serve la sua qualità, non quella quantità falsa che andava a nascondere la mancanza di sostanza collettiva.

Sì, il tempo è passato. E non lo ha fatto inutilmente. Adesso dietro questa squadra c’è una storia, c’è uno scrittore e ci sarà un bel finale: vedrete. 

 

Fabio Gandini

Commenti

Ti potrebbero interessare anche: