Noi festeggiamo il 111° compleanno del Varese con un tifoso normale, che poi di "normale" non ha nulla visto che racchiude tutte le caratteristiche uniche dei tifosi biancorossi (estremismo, forza, trasporto totale): Paolo Limido, visto su tutti i campi (ma proprio tutti!), da San Bonifacio a Crotone, da Figline Valdarno a Reggio Calabria, da Cuasso al Monte a Montjovet in Val d'Aosta, è la persona giusta per simboleggiare tutto ciò che rappresenta questo club per chi "vive" con un'unica fede chiamata Varese.
«Siamo a Terni, ultima giornata di serie B del 2015, con il Varese già in serie C - ricorda Paolo - io, mio fratello Claudio, Mario ajò e altre due tifose in una immensa curva deserta. A fine partita gliene ho dette di tutti i colori non perché avevamo perso o eravamo retrocessi ma perché avevamo giocato male, come se niente fosse»: questo è un tifoso del Varese.
Ma anche questo: «Stagione precedente: dopo aver perso 4-0 a Cittadella senza giocare, la partita successiva al Franco Ossola vedo il difensore biancorosso Luca Ricci ridere durante il riscaldamento. Giochi per il Varese e ridi dopo un 4-0? Mi sono alzato dal mio seggiolino in tribuna e gliene ho dette quattro. La gente si mise ad applaudire».
Il Varese per un tifoso come Paolo cos'è? «Cuore e palle. Se poi abbiamo anche la gente con i piedi buoni, va benissimo. Ma possiamo avere anche gente con piedi quadrati, purché dotata di cuore e palle».
Un giocatore che simboleggia il Varese? «Per me, non c'è. I giocatori vanno e vengono, indossano questa maglia perché è il loro lavoro e, anche quando sembrava che qualcuno lo facesse per "amore", poi è sceso dal carro nel momento in cui affondavamo. Chi indossa la maglia, è ben pagato per farlo, così come gli allenatori. Ero legato a Castori... ma il Varese, per me, è solo della gente, sia dei tifosi che capiscono, sia di quelli che non capiscono. Il bello del Varese è che c'è gente che "vusa"».
«Il bello del Varese - ripete Paolo - sono i ragazzi che si spaccano in quattro e fanno le collette per andare a vederlo in trasferta. Mi immagino come stiano soffrendo tutti quelli che non possono venire allo stadio: c'è chi ha rinunciato e rinuncia a tutto per il Varese».
La tua partita? «Non è Varese-Cremonese. Magari Alessandria, quando segnò Crocetti sotto l'acqua e poi andammo a ubriacarci di gioia. Oppure San Bonifacio, dove io e Gedeone siamo arrivati da soli. Ma anche Figline Valdarno: io, il Fausto e Beppe Marangon siamo riusciti a entrare grazie all'aiuto di Mauro della Casa del Disco (la trasferta era vietata, tranne ai possessori di tessera del tifoso). Litigai con tutta la tribuna perché insultavano Sannino perché il pubblico avversario non deve toccare l'allenatore del Varese. A Benevento nei playoff per la B, però, ci andò peggio... ero con Fausto e Guglie: ci cancellarono il volo a Bari, prendemmo un treno locale che fece tutte le fermate, arrivando in Centrale a Milano la mattina successiva. Quindi, autobus fino a Malpensa, dove avevo lasciato l'auto, e poi diretti al lavoro».
A Livorno sotto la neve, nella trasferta più eroica del Varese di Maran, ovviamente Paolo c'era: «Io, Mario ajò, Sergio, Fabrizio... entrati in curva, iniziò una nevicata storica portata dal vento di maestrale. Ci siamo ritrovati a bere la camomilla con i carabinieri al bar... siamo tornati in città la mattina seguente, dopo aver fatto tutta la Cisa dietro gli spazzaneve».
Paolo di trasferte ne ha fatte tante anche in furgoncino («Anche a Grosseto, quando finì 0-0 con l'esordio di De Luca») o in aereo: a Reggio Calabria se la prese di brutto con squadra e dirigenti. «Perdemmo prendendo secchiate d'acqua e insulti ma i giocatori non ci vennero a salutare. In aeroporto, quando vidi l'allenatore Maran e il ds Milanese, feci il cinema. Milanese disse: "La squadra era troppo incazzata". Io gli replicai: figurati noi che ci siamo alzati alle 5 e siamo arrivati fin qui beccandoci di tutto...».
Da bambino Paolo, che oggi ha 52 anni, giocavo al Bosto: «Ricevetti da loro una tessera omaggio per andare a vedere il Varese con mio fratello. Fu la mia prima volta: prendevo la N da viale Belforte e poi la P. Andavo a vedere gli allenamenti al vecchio campo di Vedano Olona e mi mettevo dietro la rete con papà per vedere le parate di Martina e Nieri perché volevo fare il portiere. Poi è stato un crescendo di passione».
«E' stato un onore - aggiunge con un ricordo che commuove - conoscere Fausto Scarpazza. Ci eravamo un po' allontanati dalla squadra ma Fausto ci fece riavvicinare, sia in casa che in trasferta».
Per il suo lavoro, Paolo è spesso all'estero: «L'anno scorso ero in Messico e mi chiedevano: per chi tifi? Io rispondevo "solo Varese", andavano a vedere in che serie giocava ma non trovavano nulla perché eravamo in terza categoria. La risposta, però, era ed è sempre la stessa».
Paolo, legato da grande amicizia e mille avventure a Stefano Pertile («Quando penso al "mio" Varese, penso a lui»), ha poche ma belle parole da dire sulla squadra di quest'anno e sul salto in serie D («E' come essere atterrati senza paracadute, certe sofferenze ci stanno»): «Io davanti al Varese sono come un bambino, mi hanno ridato il giocattolo e li ringrazio. Noi tifosi abbiamo anche un'altra caratteristica: siamo bravi a calarci nel presente e a sognare il futuro. Dopo la prima partita, dissi a Sassarini: "Voglio la B in tre anni". Cosa devo dire a questi ragazzi? Ci provano sempre e hanno grinta. Magari alcuni non hanno qualità eccelse... ma se ci mettono le palle e ci salvano senza arrivare ai playout, mi fanno il regalo più grande che possa desiderare».
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