I bollettini penosi - trasudanti disgrazie, critiche e storture da denunciare con forza - sono un pallido ricordo del passato: da Masnago, ora, arrivano solo tante, buone, notizie.
Una impilata sull’altra, colorano il quadro di una creatura biancorossa nuova, che si trova in una situazione altrettanto nuova, totalmente inedita, griffata dalla positività e dalla speranza. Guardare la classifica per credere: sia pur nell’attesa dei risultati di Cantù (contro Cremona) e della Fortitudo (stasera contro Treviso), la Openjobmetis è ormai riuscita a coinvolgere ben quattro avversarie nella lotta per non retrocedere. Solo un mese fa era sul fondo: sola, senza luce, senza costrutto, apparentemente senza un futuro prossimo.
Aveva ragione, lo si deve ammettere, si può persino fare mea-culpa, chi predicava il verbo degli allenamenti al completo come unica strada per risorgere dalle ceneri: credevamo nella strada, ovviamente, ma non - non più - in chi l’avrebbe dovuta percorrere. Troppe le delusioni, troppi gli errori da sistemare, troppe le mancanze e pure le sfighe. Ci sbagliavamo: il lavoro, ora continuo e autentico dopo la disgraziata parentesi Covid, ha cambiato questa squadra.
Alcune nuove che arrivano dal Lino Oldrini sono effettivamente clamorose. Una di queste è la riconquistata capacità del gruppo di reagire ai parziali di senso avverso. Per un girone abbondante bastava una spallata ben assestata a sbilanciare Ferrero e soci, a sgretolarne ogni certezza: oggi Pesaro, la Pesaro rivelazione, ci ha provato per ben tre volte (secondo quarto, terzo quarto, rush finale) ed è stata rispedita al mittente - ogni volta con gli interessi - da una formazione che adesso sa cosa fare, sa quando farlo e sa come farlo.
E che cosa scrivere dei 37 tiri da 2 contro i (soli) 17 da 3, numeri che hanno suffragato una contesa letteralmente dominata dai lunghi di casa? E al di là dei tentativi, le ventidue conclusioni segnate dentro l’area sono la seconda miglior prestazione stagionale dopo le 23 realizzate contro Trieste.
Egbunu, esplosivo, presente, capace di aprire spazi inattesi per i compagni oltre che punto di riferimento per opzioni offensive mai contemplate prima. Scola, operaio - ma oggi di super qualità - che di palloni ne forza finalmente davvero pochi e non è più il centro di un discorso tecnico povero, quanto piuttosto la ciliegina di una torta che sazia. Morse, già praticamente tagliato tre settimane fa, rincalzo di lusso stasera, capace di sfoderare la prestazione della storia nello stesso giorno in cui i suoi titolari fanno le onde. Quanta grazia, Sant’Antonio? E allora bisognava forse davvero passare dalle forche caudine di mesi in cui il rinforzo sotto canestro rimaneva un sogno e la sua assenza gridava vendetta al buon senso di chiunque. Ci siamo sgolati, abbiamo visto Jones rompersi dopo nemmeno un minuto di gioco, poi abbiamo visto la società prendere un altro esterno che ha avuto l’unico effetto di ingolfare ancora di più il sistema, infine abbiamo aspettato, accarezzando l’incubo di retrocedere senza nemmeno aver provato l’ebrezza di possedere un pivot vero. Tanta sofferenza, ripagata ora: con Long John lì in mezzo, è tutta un’altra storia.
Il martirio di chi vuole bene o è chiamato a giudicare la Pallacanestro Varese è però nulla in confronto a quello che ha dovuto passare Massimo Bulleri. Settimane e settimane di critiche - legittime, ancorché dure - nei quali non ha mosso un muscolo. Poi due mosse, oltre a quella di un lavoro che finalmente gli sta dando i frutti sperati: il sacrificio di Jakovics, insito nella decisione di puntare su un lungo in più, e quello ormai nei fatti di De Vico. Due decisioni difficili, pure crudeli, ma che in un colpo solo hanno dato improvvisa razionalità alle rotazioni, mutando di colpo l’impatto di ogni singolo e dalla somma che ognuno di essi contribuisce ad esplicitare.
Altra bella notizia da Masnago: abbiamo un allenatore. Un allenatore che finalmente ha ragione.
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