Il Nazionale

Cronaca | 08 marzo 2021, 09:57

8 marzo 2020, l'ultimo giorno di "libertà" prima del lockdown: l'Italia sprofonda nell'incubo della pandemia da Covid-19

In questa data, un anno fa, il Governo capì che Codogno e Vo’ Euganeo non erano dei focolai isolati. Occorreva agire subito e chiudere tutto: tre mesi terribili per migliaia di famiglie e milioni di lavoratori che ci segneranno per sempre

8 marzo 2020, l'ultimo giorno di "libertà" prima del lockdown: l'Italia sprofonda nell'incubo della pandemia da Covid-19

L’otto marzo del 2020 ha rappresentato non solo la celebrazione della giornata internazionale della festa della donna, ma anche l’ultimo giorno di 'libertà', di 'normalità', per l’intera provincia di Savona, Liguria e gran parte dell’Italia.

L’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva appena firmato un Dpcm che prevedeva misure per il contenimento e la gestione dell’emergenza sanitaria e tra queste la creazione di una zona arancione comprendente il territorio della Lombardia e di altre 14 province (cinque dell’Emilia-Romagna, cinque del Piemonte, due del Veneto e una delle Marche), 16,7 milioni furono le persone coinvolte.

Ma il giorno dopo il premier Conte, con una conferenza stampa straordinaria, comunicò alla Nazione che era necessario compiere un lockdown in tutto il Paese e non più solo per le province che da poco erano entrate in zona rossa. L’epidemia da covid-19 andava fermata al più presto. I focolai di Codogno, in provincia di Lodi, e Vo’ Euganeo, nel padovano, non erano dei casi isolati e il provvedimento è stato urgente quanto necessario. Nella nostra regione il 24 febbraio del 2020 il governatore Giovanni Toti aveva già provveduto a chiudere le scuole, decisione questa che è stata assunta il 9 marzo dal Presidente del Consiglio per l’intero territorio nazionale.

Fino al 3 aprile, questa è stata la prima data fissata dal Governo all’interno del Dpcm, la chiusura venne estesa anche a qualsiasi tipo manifestazione e evento sportivo. "Siamo consapevoli di quanto sia difficile modificare le nostre abitudini. Ma purtroppo non c'è tempo. I numeri ci dicono di una crescita importante dei contagi, dei ricoveri in terapia intensiva e dei decessi. Le nostre abitudini, spiegò Conte, vanno cambiate ora. Dobbiamo rinunciare tutti a qualcosa per il bene dell'Italia, e lo dobbiamo fare subito. Adotteremo misure più forti per contenere il più possibile l'avanzata del coronavirus e per tutelare la salute di tutti i cittadini”.

Il provvedimento venne ribattezzato #iorestoacasa. Eliminate quindi "zona rossa" e "zona 1 e zone 2”, l'Italia intera divenne zona protetta. Divieto assoluto di spostamento tranne per ragioni di lavoro, necessità o salute e per farlo occorreva compilare l’autocertificazione.

“Inoltre - disse Conte - aggiungiamo anche un divieto degli assembramenti sia all'aperto che nei locali chiusi. Sono costretto ad intervenire in maniera decisa per tutelare la salute dei tutti e in particolare quella dei più fragili". Decine e decine di categorie di negozi abbassarono le proprie saracinesche. Nessuno stop, fin dal principio, per chi vendeva generi alimentari o beni di prima necessità. Per arrivare ad un progressivo allentamento delle misure restrittive bisognerà poi aspettare gli inizi di maggio e giugno.

Per tre mesi l’Italia si paralizzò in toto. Un Paese intero piombò nello sconforto. Le vittime crescevano ogni giorno di più. Dal balcone iniziarono a spuntare i primi arcobaleni con la scritta “Andrà tutto bene” e sempre in balcone ci si ritrovava per cantare l’inno nazionale e applaudire all’incessante lavoro dei sanitari impegnati in prima linea nella lotta contro il virus. Un nodo da sciogliere per il Governo, ma che in realtà ancora oggi non è stato completamente affrontato e risolto, fu quello del rientro di studenti e lavoratori al Sud o in altre regioni italiane. In assenza del requisito della residenza infatti, in migliaia furono bloccati nei luoghi in cui studiavano o lavoravano.

Di contro dal Sud si levava un grido di 'razzismo' contro chi, prima del lockdown generalizzato, era riuscito a tornare nella propria terra di origine. All’inizio di marzo si registravano ancora notevoli difficoltà nel reperire i dispostivi di protezione. L’approvvigionamento sul territorio non fu veloce rispetto a quanto la situazione richiedeva. Il termine del 3 aprile, slittò a Pasqua, poi al 4 maggio, poi a giugno.

Solo quest’estate si è tornati alla vita di sempre, ma il prezzo pagato fu caro e salato. In autunno e in inverno la seconda ondata non tardò ad arrivare. Il lockdown generalizzato lasciò il posto alle zone verdi, gialle, arancioni e rosse e la situazione da quel periodo è rimasta quasi immutata. Il numero dei contagi e delle vittime è aumentato sempre di più, e ad oggi- ad un anno di distanza- nessuno ha riacquistato la vita di sempre e il cammino per arrivarci è ancora molto lungo nonostante, a differenza dell’anno scorso, sia stato trovato il vaccino.

L’unico desiderio oggi, rispetto, è sempre la stesso: che questo incubo finisca e che il dolore possa finalmente essere lasciato alle spalle.

Angela Panzera

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