Ci sono partite che sanno riassumere - nei quaranta minuti della loro unicità - tutta una stagione. Il derby di oggi è stato una di esse, come una puntata di riepilogo in una serie che finora non ha conosciuto l’emozione del cambiamento.
Da mesi la Openjobmetis Varese si trascina come una pesante pietra del peccato malasorte, mancanze strutturali ed errori.
Il debito pagato alla prima è stata una costante che il Covid ha solo aggravato. Non si possono infatti dimenticare i tributi onerosi degli infortuni di Ferrero e De Vico, la scarsa forma di Ruzzier durata un girone intero e il record di sfiga che ha colpito il rinforzo Jones. Di fatto - e tenendo ben presente l’inopinato arruolamento di Andersson - Bulleri non ha mai potuto lavorare su una squadra completa ed ideale: lo potrà fare dalla prossima settimana, ma solo dopo che il Covid ha passato la sua pesante pialla. Ci può allora essere sorpresa davanti a sconfitte che - come al PalaDesio - arrivano a punire una formazione che, oltre ad essere sbagliata e assai perfettibile, è anche quasi sempre un giro di forma dietro gli altri? No. E vincere il derby senza Beane e Douglas è stato un sogno la cui sveglia è suonata alla palla due. O quando, e anche stavolta è accaduto a metà ultimo quarto, è finita la benzina delle gambe e dell’orgoglio.
Mancanze strutturali, secondo capitolo. Il lungo in grado di affiancare Scola, quella pedina che allo scacchiere manca palesemente fin dal primo minuto della prima gara ufficiale, sarà attivo solo da domani. Varese ha pensato che in Svezia ci potessero essere giocatori di basket, poi si è accorta che in Svezia c’è tanto ghiaccio ma ci sono pochi parquet, poi ci ha provato con Jones, poi la sorte gli ha servito un poker d’assi contro una coppia di 2, poi si è fermata nella ricerca del big man e ha preso una guardia (perché?), poi si è ammalata e infine ha acquistato ancora. Ora: qualcuno è davvero sorpreso che una squadra senza centri di ruolo (se non un esordiente), con un 4 che gioca 5 perché è vecchio e lento in difesa, con due 3 che giocano 4 (ma la scommessa fatta da Caja con Ferrero non è che la puoi lanciare sempre, per 40 minuti e con tutti), senza nessuno che occupi l’area e faccia da ombrello alle sortite avversarie, abbia solo sei punti in classifica dopo quindici giornate? Se sì, fatecelo conoscere. E dal PalaDesio, anche su questo punto, nessuna sorpresa, dalla prova di Scola in poi.
Errori, terzo e ancora più decisivo capitolo. Varese non sembra migliorata una virgola nelle mancanze che la fiaccano da mesi: questo è l’handicap più pesante che sconta. Ed è la difesa, ovviamente, a salire sul banco degli imputati. Anche in questo caso il PalaDesio è stata una bibbia: semplici mosse avversarie che fanno male per minuti e minuti (oggi i blocchi di Leunen), movimenti difensivi giusti per 20 secondi che diventano sbagliati al ventunesimo (e subisci canestro), giocatori che calpestano le stesse linee quando non dovrebbero, close-out non fatti, aiuti non portati, tagliafuori obliati. Cose che vanno al di là delle mancanze strutturali. Cose che si vedono ad agosto e poi a settembre (quando le gambe sono di legno e la conoscenza reciproca è quella di uno speed date), poi a ottobre iniziano a sgonfiarsi, a novembre a diminuire e a dicembre a sparire. Cose che sanno rovinare la buona volontà, l’impegno (e questa Varese ce ne mette tantissimo, è sempre più palese), la coesione del gruppo (sono in tanti a dire che la Openjobmetis 2020/2021 sia uno dei più coesi da anni). Cose che hanno bisogno di ripetizioni ossessive per perdere consistenza e poi diventare un ricordo, cose che - in una compagine che non brilla di talento - sono vitali da eliminare. Cose che fino a settembre di quest’anno venivano condite da cambi punitivi, improperi e sottolineature tutt’altro che miti quando si palesavano.
E allora da questo derby triste dentro e fuori dal campo, da questa ennesima prova ricca di sentimento ma poco altro, da questa sconfitta che rende il cammino per non cadere in A2 una scalata al K2 senza ossigeno ad aiutare i polmoni, noi ci prendiamo - quale unica speranza - l’epico shampoo fatto da Bulleri a Strautins, reo di non aver fatto per due volte tagliafuori, costando quattro punti ai suoi. Appena tornato in panca, cambiato per punizione, il lettone è stato aggredito dal coach di Cecina con una ferocia che nel Bullo non avevamo mai visto. Una ferocia che ci ha ricordato qualcuno.
Uno che sapeva che la salvezza è sempre - e sempre sarà - una questione di cazziatoni e dettagli.
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