Ora la politica non ha più alibi. Finiti i sopralluoghi, concluse le passerelle, archiviati gli attestati di solidarietà, occorre mettere mano alla ricostruzione.
Una ricostruzione che, constatato l’immane disastro, non sarà né facile né scontata.
Da tempo immemore il Cuneese lamenta carenza di infrastrutture e una situazione di perdurante isolamento. Adesso l’isolamento rischia di diventare totale se non si interverrà tempestivamente con lungimiranza e competenza. Siamo tagliati fuori dalla Liguria e dalla Francia e anche i collegamenti con la pianura padana sono compromessi.
La politica, che ci ha abituati a slogan e in questi ultimi tempi a rigurgiti ideologici, deve sapersi assumere le proprie responsabilità. La politica non è un’entità astratta. Ha nomi e cognomi.
Al Cuneese non mancano rappresentanti in ruoli chiave, che ora dovranno avere la capacità di far sentire la voce dei territori che li hanno espressi. Due nomi su tutti: il ministro della Pubblica amministrazione Fabiana Dadone e il presidente della Giunta regionale Alberto Cirio. Entrambi rivestono cariche che consentono loro di azionare le opportune leve per trovare quelle risposte necessarie per avviare la ricostruzione.
Insieme a loro i parlamentari, di maggioranza e di opposizione, l’assessore regionale e i consiglieri regionali.
Anche la Provincia, pur avendo un’incerta identità, deve saper battere i pugni insieme ai sindaci e ai cosiddetti “corpi intermedi”, espressione delle realtà produttive.
Se l’attuale classe dirigente, intesa nella sua più vasta accezione, non sarà all’altezza del proprio ruolo, la Storia le accollerà la responsabilità di aver condannato il Cuneese all’irrilevanza nel contesto piemontese e nazionale.
Se l’idea della “Granda isola felice” è stato un mito rivelatosi ben presto effimero, il timore di divenire “area depressa” è uno spettro che da ieri aleggia minaccioso. Siamo riprecipitati al tempo del Dopoguerra.
Ci siamo svegliati come se 70 anni fossero passati invano.
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