Sono le ore di dolore, queste, per i genitori, i parenti e gli amici di Marco Appendino, i fratelli Elia e Nicolò Martini, Camilla Bessone e Samuele Gribaudo, ma è anche il momento cruciale per le indagini sulla tragedia che ha spazzato via cinque giovani vite.
“L’enormità della tragedia ha imposto un accertamento suppletivo su quanto è accaduto - spiega il dottor Alberto Braghin, titolare dell’inchiesta -, anche se la dinamica del sinistro sembra essere chiara”.
Il magistrato domani mattina conferirà al medico legale Mario Abrate l’incarico di eseguire l’autopsia sul corpo di Marco Appendino ed ha inoltre stabilito la perizia sul veicolo, per evidenziare eventuali anomalie che potrebbero essere all’origine dell’incidente o anche solo una concausa.
I tecnici valuteranno innanzi tutto lo stato delle gomme, per accertarne una eventuale usura, nonché le condizioni dell’impianto frenante. A causare il sinistro potrebbe essere stato anche un animale che all’improvviso ha attraversato la strada: niente di più possibile lungo una via di montagna.
“Dagli elementi in mio possesso posso dire che all’origine della caduta nel burrone del Defender ci potrebbe essere anche solo una distrazione - prosegue il dottor Braghin - magari all’interno dell’auto è accaduto qualche cosa, forse anche solo una risata tra i ragazzi che ha indotto ad una distrazione che e poi risultata fatale”.
Certo la strada impervia, che si arrampica oltre i 1.800 metri verso il monte Crocetta, ha contribuito in maniera pesante a causare l’incidente. L’ultimo lampione si trova nelle vicinanze del rifugio Maraman, poi si prosegue al buio, lungo un serpente di tornanti sterrati, senza la protezione del guard rail. Non ci sono cartelli che segnalano la curva a gomito che Marco non ha imboccato, uscendo rovinosamente di lato. Secondo la ricostruzione degli inquirenti la vettura è precipitata sbattendo prima sulla strada sottostante e poi su un massiccio roccioso. Tutti i ragazzi sono stati violentemente sbalzati fuori dall’abitacolo del Defender.
“È una tipica strada di montagna - chiarisce il dottor Braghin - che tra l’altro, mi hanno detto, il giovane Marco Appendino conosceva bene, perché l’aveva fatta tante volte in auto, guidando lui o vicino al conducente. Non credo che un cartello a segnalare la curva a gomito in una via che procede a tornanti avrebbe potuto salvare quelle cinque vite”.
Il magistrato cuneese si riserva di ascoltare, come persone informate sui fatti, gli altri quattro ragazzi - di cui due già usciti dall’ospedale - che erano sul Defender quella maledetta sera.
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