Crolla, sotto una pioggia di assoluzioni, il processo scaturito dall’inchiesta “Alchemia”. L’inchiesta, messa a segno oltre quattro anni fa, dalla Dda di Reggio Calabria contro le cosche mafiose Gullace-Raso-Albanese di Cittanova e Parrello Gagliostro di Palmi. Storiche ‘ndrine che dalla piana di Gioia Tauro, secondo la Procura antimafia dello Stretto, avevano intessuto rapporti e connivenze ramificandosi e spostando anche i propri interessi in Liguria. Nella tarda serata di ieri il Tribunale di Palmi ha però assolto ben 22 imputati. Dieci sono state le condanne e nel dettaglio a Carmelo Gullace sono stati inflitti 18 anni di reclusione e a Francesco Gullace 15 anni; per Orlando Sofio (5 anni e tre mesi), Marianna Grutteria (3 anni) Candeloro Gagliostro (5 anni), Giampaolo Sutto (5 anni), Fortunata Militano (3 anni e tre mesi), Demetrio Rossini, Vincenzo D’Amico e Alfredo Beniamino Ammiraglia (1 anno e otto mesi) i giudici hanno escluso l’associazione mafiosa e li hanno condannati per l’associazione semplice e alcune intestazioni fittizie.
Il collegio invece, ha assolto Michele Albanese, Elio Gullace, Girolamo Giovinazzo, Francesca Politi, Rocco Politi, Rosario Politi, Girolamo Politi, Pantaleone Contartese, Antonino Raso, Giulia Fazzari, Antonio Fameli, Carmelo Gagliostro, Vincenzo Zoccoli, Rocco Filippone, Candeloro Parrello, Salvatore Orlando, Roberto Orlando, Rita Fazzari, Antonio Pronestì , Giuseppe Chiaro, difeso dall’avvocato Andrea Alvaro, e Antonio Galluccio. I giudici, all’esito di questa decisione hanno disposto la scarcerazione di quasi tutti gli imputati ancora detenuti.
Tra le scarcerazioni spiccano poi, quelle decise per il presunto boss della Liguria Carmelo Gullace, detto Nino, che era agli arresti domiciliari a Toirano (in provincia di Savona) e del fratello Francesco, entrambi difesi dall’avvocato Guido Contestabile. I due imputati, nonostante le condanne rimediate, rispettivamente 18 e 15 anni di detenzione, hanno riacquistato la libertà poiché sono decorsi i termini di custodia cautelare.
L’operazione “Alchemia”, nella quale era rimasto coinvolto anche l'allora vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria Francesco d'Agostino, che venne assolto definitivamente all’esito del processo abbreviato in quanto la Procura non presentò appello, è stata eseguita nel luglio 2016 e si è sviluppata in due fasi operative: una, condotta dalla Dia di Genova, in collaborazione con quelle di Reggio Calabria e Roma, nei confronti di presunti affiliati alla cosca mafiosa Raso-Gullace-Albanese di Cittanova; l’altra, coordinata dallo Sco delle polizia, dalle squadre mobili di Genova, Reggio Calabria e Savona, con riguardo a soggetti appartenenti allo stesso clan cittanovese e a quello Parrello-Gagliostro di Palmi.
Per la Dda dello Stretto le ‘ndrine avrebbero manifestato particolari interessi nei settori del movimento terra, edilizia, import-export di prodotti alimentari, nella gestione di sale giochi e di piattaforme di scommesse on line, lavorazione dei marmi, autotrasporti, smaltimento e trasporto di rifiuti speciali, con l’individuazione di società intestate a prestanome.
I presunti affiliati alla cosca cittanovese operanti in Liguria avrebbero confermato un solido collegamento con la “casa madre”, evidenziando ancora una volta il rilevante ruolo della Liguria nelle dinamiche e negli interessi della ‘ndrangheta nel Nord Italia. Questo assunto accusatorio, però non ha trovato conferma nella sentenza del tribunale di Palmi. Nonostante le pesanti richieste invocate dal pm, il collegio ha condannato solo i due Gullace per associazione mafiosa e, di fatto, ha escluso l’esistenza di una cosca Parrello-Gagliostro a Palmi i cui presunti affiliati non solo ne sono usciti assolti, ma sono stati quasi tutti scarcerati subito dopo la lettura del dispositivo.
Come era riportato nel capo di imputazione formulato dagli inquirenti Carmelo Gullace è da ritenersi il “promotore, capo ed organizzatore della cosca Raso-Gullace- Albanese” ed in particolare, stando alla sentenza emessa dal Tribunale, aveva un “ruolo direttivo e di comando in quanto è il referente dell’articolazione ‘ndranghetistica di appartenenza in Liguria e Piemonte ed a lui si rivolgevano altri accoliti per risolvere controverse insorte”, ma deteneva anche il ruolo di “mantenere contatti con esponenti di spicco di altre articolazioni territoriali della ‘ndrangheta(…) finalizzati tutti alla condivisione di interessi imprenditoriali anche fuori dal territorio dello Stato italiano” ed era deputato “in ragione del suo ruolo, ad indire riunioni di ‘ndrangheta”. Se Carmelo Gullace, secondo gli investigatori, aveva un ruolo apicale, un posto speciale nell'organizzazione spettava alla moglie Giulia Fazzari. Un assunto smentito in toto, però dal collegio che ha infatti assolto la donna, difesa dal legale Marino. Per la Dda la donna avrebbe avuto il ruolo di mantenere rapporti con gli amministratori dei comuni della provincia di Savona, finalizzati all'acquisizione di appalti pubblici, nonché di organizzare trasferte in Brasile per riciclare proventi delittuosi della cosca di appartenenza, attraverso l'acquisizione di proprietà immobiliari. Inoltre, era accusata di essere una “prestanome” della cosca in riferimento ad alcune aziende, alcune di esse site tra Palmi e Borghetto Santo Spirito. Come per lei anche per i tanti imputati alla sbarra l’inchiesta è crollata attestando, almeno in questa fase processuale, l’inesistenza di una ‘ndrina, sia in Calabria che in Liguria, che al di là di un presunto capo promotore “manca” di affiliati, prestanome e sodali.
Commenti