A soli tre mesi dall’inizio dell’anno, Genova ha già superato per 84 giorni il limite giornaliero raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per il biossido di azoto (NO₂), uno dei principali inquinanti atmosferici legati al traffico urbano. Lo rileva un’analisi dell’Osservatorio Mobilità Urbana Sostenibile – Clean Cities Campaign, in collaborazione con ISDE Italia e Kyoto Club e diffusa da Medici per Ambiente, che ha mappato i superamenti in diverse città italiane.
Secondo le linee guida dell’OMS, per tutelare la salute pubblica non si dovrebbero superare i 25 µg/m³ di NO₂ più di 3/4 dell’anno, ovvero circa 91 giorni. Genova ne ha già accumulati 84, classificandosi al quarto posto in Italia tra le città peggiori per qualità dell’aria, dietro solo a Torino, Catania e Palermo.
Non va meglio se si guarda al futuro. La nuova Direttiva europea 2024/2881, che entrerà in vigore nel 2030, prevede un limite di 50 µg/m³ da non superare per più di 18 giorni all’anno. Anche qui Genova è fuori scala: già 44 giorni oltre la soglia, più del doppio del limite ammesso tra cinque anni.
Se al momento la normativa italiana considera solo una media annua di 40 µg/m³ (e non impone un tetto giornaliero) i nuovi standard europei segnano una svolta che obbligherà le città a ripensare radicalmente traffico, mobilità e fonti di inquinamento.
Ma da dove arrivano, nel dettaglio, queste emissioni?
Un secondo studio, basato sugli Inventari Regionali delle Emissioni in Atmosfera (2019–2021), mostra che a Genova il biossido di azoto non dipende solo dal traffico su strada. La principale fonte di NOx è infatti rappresentata dalle attività marittime, responsabili da sole di quasi il 49% delle emissioni. Il traffico cittadino incide per il 32%, mentre tutto il comparto industriale pesa complessivamente per meno del 10%.
A Genova, dunque, migliorare la qualità dell’aria significa guardare al mare: l’elettrificazione delle banchine, il controllo delle emissioni navali e un ripensamento della logistica portuale non sono più solo questioni tecniche, ma scelte di salute pubblica.
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