Ruolo nella ‘ndrangheta reggina sì, per via anche della sentenza definitiva, ma anche un ruolo inesistente di Amedeo Matacena nell’associazione di tipo segreto. È un concorrente esterno, non un capo mafia né membro di alcuna associazione segreta. Se non lo è lui di conseguenza le accuse mosse nei confronti degli imputati, tra cui l’ex ministro Scajola, non possono essere aggravate né dall’aver agevolato la ‘ndrangheta reggina né alcuna associazione masso-mafiosa.
Questo è il ragionamento effettuato dal Tribunale di Reggio Calabria, presieduto da Natina Pratticò, che ha escluso proprio questa aggravante nei confronti di tutti gli imputati del processo “Breakfast”. Un aggravante per cui, all’esito della propria requisitoria, sarà lo stesso pm a chiederla nei confronti di Scajola, ma che poi il Collegio non riterrà valida per nessuna delle altre persone alla sbarra. Fin dal principio il pm Lombardo aveva contestato questa aggravante sia per il reato di procurata inosservanza di pena, per cui all’esito del dibattimento è stato condannato a due anni l’attuale sindaco imperiese Scajola e Chiara Rizzo, Moglie di Matacena ad un anno (per entrambi la pena è stata sospesa) che all’accusa di intestazione fittizia di beni contestata alla Rizzo e a Martino Politi e Maria Grazia Fiordelisi. Accuse cadute in toto all’esito del processo.
Già il gip che ha emesso l’ordinanza di custodia cautelare, come poi faranno sia il Riesame che la Cassazione, non riterrà sul punto valida l’impostazione accusatoria. Durante il dibattimento la Dda dello Stretto ha continuato ad insistere sul punto arrivando persino a contestare quella relativa all’agevolazione di “un’associazione segreta collegata alla ‘ndrangheta da un rapporto di interrelazione biunivoca, destinata ad estendere le potenzialità operative del sodalizio mafioso in campo nazionale ed internazionale”. Per il collegio non ci sono dubbi: “questa circostanza aggravante va esclusa per tutti i capi di imputazione rispettivamente ascritti agli imputati”. Nonostante non fosse imputato nel processo, gran parte dell’assunto accusatorio ha preso le mosse dalla ricostruzione del ruolo di Matacena, ex deputato di Forza Italia e noto armatore reggino, condannato definitivamente a tre anni di carcere per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa in quanto ritenuto “vicino” alla ‘ndrina dei Rosmini, operante a Reggio Calabria e provincia.
Una condanna che Matacena non ha ancora scontato poiché si trova, ancora oggi latitante a Dubai, e per cui Scajola e la Rizzo- a differenza di Politi e Fiordelisi- avrebbero tentato di aiutarlo trasferendolo dagli Emirati Arabi in Libano. L’obiettivo del pm Lombardo è stato, anche attraverso l’escussione di numerosi collaboratori di giustizia quello di dimostrare come Matacena, alla luce della condanna definitiva rimediata negli anni scorsi, sarebbe stato in contatto con diverse famiglie di ‘ndrangheta. Un ruolo che sembrava andare ben oltre quello del concorrente esterno e che era inserito in un network composito di nomi noti e personaggi di peso della politica, della finanza e dell’imprenditoria italiana, che avrebbero cooperato per salvaguardarne libertà e operatività. Sul punto, però il giudizio del Tribunale non lascia alcuno spazio e rigettata totalmente il tentativo dell’accusa. “L’istruttoria dibattimentale non ha consentito di delineare un ruolo di Matacena all’interno della ‘ndrangheta reggina diverso ed ulteriore, sia qualitativamente che per estensione temporale, è scritto nelle motivazioni, rispetto a quello delineato nella sentenza di condanna passata in giudicato con conseguente fallimento della possibilità di configurare l’aiuto che gli è stato fornito quando era latitante quale aiuto all’intera ‘ndrangheta o anche ad alcune delle articolazioni territoriali che la compongono. Non vi sono apporti collaborativi nuovi- chiosa il Collegio- rispetto a quelli che già non si fossero registrati al momento della sentenza divenuta definitiva”.
Anche per quanto riguarda le diverse dichiarazioni dei “pentiti” per il Tribunale “non emerge che il Matacena fosse il volto imprenditoriale delle cosche di ‘ndrangheta mentre si ricava incontrovertibilmente che vi fosse un patto politico-mafioso tra Matacena e tutte le articolazioni territoriali della ‘ndrangheta reggina in virtù del quale l’associazione criminale in tutte le sue componenti si è impegnata a fornire appoggio elettorale a Matacena e questi a condurre in Parlamento un’azione morbida nei confronti della criminalità organizzata. Infine, rispetto a quanto narrato dal collaboratore di giustizia Cosimo Virgiglio,imprenditore legato alla cosca Molè di Gioia Tauro, ma anche un soggetto inserito in contesti masso-mafiosi, “non vi è dubbio sul fatto che abbia riferito che Matacena era intraneo a questa associazione(…) e non vi è dubbio che Virgiglio riferisca della vicinanza di Matacena alla ‘ndrangheta reggina attraverso la quale trova aggancio con la criminalità della piana di Gioia Tauro, segnatamente con i Piromalli, allorquando deve far attraccare le proprie navi al porto di Gioia Tauro, ma ciò per i giudici "non è un elemento di novita” poiché inoltre, “non è dato comprendere quale sia stata la condotta posta in essere dal Matacena quale adepto dell’associazione segreta, prima ancora di comprendere se il ruolo sia stato o meno apicale,” e comunque lo stesso “non è stato in alcun modo riscontrato”. Come non sono state riscontrate le dichiarazioni di Carmine Cedro. Durante il suo esame il collaboratore Virgiglio dichiarò sostanzialmente che “la cosca Molè sarebbe arrivata ad infiltrarsi nei lavori del tratto autostradale compreso tra Mileto e Gioia Tauro (che erano stati aggiudicati dalla grande impresa Impregilo) grazie all’imprenditore Carmine Cedro, attivo nel settore dei biliardi e delle macchinette da gioco, il quale attraverso l’ambasciatore di San Marino, Giacomo Ugolini, sarebbe riuscito ad arrivare a Scajola che in quegli anni era ministro dello Sviluppo economico. Infine il collaboratore affermò di sapere che '"Ugolini disse a Cedro”: 'va bene ti mando dall’allora ministro delle Attività Produttive' che era Scajola. Giacomo Ugolini -secondo quanto riferito– sarebbe molto ‘vicino’ allo stesso Virgiglio in ambito massonico”. Niente di tutto questo è stato ritenuto fondato dal Tribunale. Per il Tribunale Cedro si è limitato a riscontrare “l’esistenza di rapporti politici tra Matacena e Scajola”, nulla di più e in buona sostanza il “suo contributo non si comprende francamente in quale modo possa essere apprezzato in termini di riscontro al propalato del Virgiglio, come prospettato dall’accusa”.
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