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Sport | 01 settembre 2025, 07:15

La delicatezza, l'ironia e soprattutto l'amore di Alberto Palazzi per Caldana e la sua gente: «Sono le persone semplici che fanno la storia di un paese, come il Gusto e lo stregone di Cocquio»

Il nuovo libro del direttore della rivista cocquiese "Menta e Rosmarino" si intitola "Scusi, da che parte per Caldana?", uno spaccato di vita del suo paese natale e dei suoi incredibili personaggi: «Il Gusto si era comprato una bara da vivo dove dopo pranzo si sdraiava con le mani incrociate sul petto dando disposizioni precise per il suo funerale». Tutto da leggere anche il racconto di com'è nato il formaggio "sancarlin". Ma Palazzi guarda anche al futuro dei nostri paesi: «Per contrastare il declino bisogna reinventarsi tenendo conto anche delle esigenze delle nuove generazioni»

La delicatezza, l'ironia e soprattutto l'amore di Alberto Palazzi per Caldana e la sua gente: «Sono le persone semplici che fanno la storia di un paese, come il Gusto e lo stregone di Cocquio»

Raccontare ancora oggi le storie dei paesi, con i loro personaggi caratteristici, significa evocare suggestioni, ricordi ed emozioni profonde. È affascinante riscoprire una cultura rurale fatta di valori autentici, tramandati di generazione in generazione e custoditi nella memoria collettiva. 

Proprio con l’intento di riportare alla luce questi momenti di vita semplice e genuina, Alberto Palazzi da Cocquio Trevisago — per anni professore di matematica, oggi direttore della rivista Menta e Rosmarino e appassionato d’arte — ha scritto il suo ultimo libro, “Scusi, da che parte per Caldana?”. Un'opera che restituisce con delicatezza e ironia uno spaccato di vita del suo paese natale (per poi esaminarne, purtroppo, anche il suo lento declino), il tutto tra volti, storie e atmosfere che rischiano ormai di perdersi nel tempo.

Professore perché ha voluto scrivere questo libro?

Per raccontare il mio paese, Caldana, e documentare tutti i cambiamenti che ha vissuto negli ultimi cinquant’anni. Si è trattato purtroppo di un declino, un declino lento, quasi impercettibile, come una candela che si è consumata un po’ alla volta, giorno dopo giorno. E non è accaduto solo a Caldana: tanti altri paesi della zona hanno seguito lo stesso destino.

Ha ricordato dei personaggi nel libro. Di  che personaggi si tratta?

Sono quelli rimasti nel cuore della gente. Non sono in genere personaggi famosi. No. Quelli che si ricordano davvero, con affetto vero, sono quelli semplici, veri, di tutti i giorni. Gente così, che, nel loro piccolo, hanno caratterizzato la comunità. E oggi, sono ancora lì: nelle chiacchiere sotto al portico, in una foto al cimitero. Non saranno eroi, d’accordo. Ma senza di loro, il paese non sarebbe stato quello che è stato. 

Può raccontarci brevemente due personaggi che troviamo nel libro: il Gusto e lo stregone di Cocquio?

Il Gusto quello sì che era un personaggio memorabile! Uno di quelli che ne nasce uno ogni tre generazioni, e meno male! Tutto il paese lo conosceva, e chi non lo conosceva ne aveva comunque sentito parlare. Era diventato una vera e propria leggenda: si era comprato la bara… da vivo! Una bara di legno pregiato, lucida, con un cuscino di velluto rosso. Dopo pranzo si sdraiava dentro, con le mani incrociate sul petto, e se qualcuno passava, lui si tirava su ridendo: “Eh? Come sto? Fa la sua figura, vero?”. Ma quello era solo un inizio. Poi ce n’erano talmente tante di stramberie che per raccontarle tutte non basterebbe un intero giornale, nemmeno Varesenoi. Per esempio, aveva pianificato il suo funerale con una precisione quasi maniacale: aveva deciso i colori esatti del tricolore da mettere sulla bara – guai a sbagliare tonalità! – aveva deciso con cura chi avrebbe avuto l’onore – o il peso – di portarlo a spalla e poi le campane, aveva stabilito perfino come dovevano suonare le campane, non “due din don e via”, ma una bella scampanata come quando viene il vescovo. Un’uscita di scena – insomma - in grande stile, “Qundu ghe vöör, ghe vöör!”. Lo Striun de Coogh, a confronto, sembrava quasi normale. Ma solo a un primo sguardo, perché anche lui… beh, le sue, le aveva combinate tutte … 

Ha poi affrontato altre tematiche tipicamente paesane. 

Ho voluto guardare il paese da vicino, con gli occhi di chi ci è cresciuto dentro: ho raccontato un po’ di tutto, dalle piccole cose di ogni giorno - quelle che sembrano niente e invece fanno la vita - fino agli episodi che fanno sorridere e aiutano a tirare avanti. Il filo che tiene tutto assieme, però, è uno solo: i valori che ci hanno fatti comunità, quelli veri, che si sentivano sotto pelle, la coesione, la solidarietà, la voglia di darsi una mano senza troppe storie. Poi, nella seconda parte del libro ho dovuto prendere atto di come i profondi cambiamenti sociali ed economici abbiano progressivamente eroso quei valori. A malincuore, perché fa male vedere come le cose siano cambiate. I nuovi ritmi, le nuove logiche, il correre dietro a chissà cosa. Tutto questo ha finito col logorare quei legami, col farci perdere un po’ di quella identità che un tempo era così forte e naturale. Come se ci fossimo persi, ognuno per conto suo, dimenticando da dove veniamo e quanto valeva davvero stare uniti.

Questo libro ha un legame di continuità con l'altro manoscritto I temp indrè'?

Tutti e due parlano del paese: I temp indrè la prende un po’ più sul ridere, con tanta ironia e leggerezza, mentre Scusi, da che parte per Caldana? è un po’ più amaro, più riflessivo. 

Tra i suoi racconti parla di un qualcosa di tipico della nostra zona: il Sancarlin. Ci racconta la sua storia e come si faceva in casa?

Il formaggio “sancarlin” (in tempi lontani lo chiamavano “zincarlin”), era un nostro formaggio tipico. Ma di cosa si tratta? Quali sono gli ingredienti? Non si può fornire una ricetta precisa perché ogni famiglia aveva la sua “arte” nel produrlo; un’arte che custodiva gelosamente e trasmetteva solo per via ereditaria. Sull’origine del sancarlin si racconta una leggenda, ma non è  obbligatorio crederci. Si racconta che ogni tanto passavano dalle nostre parti baldanzose truppe che rubavano, devastavano ed uccidevano sistematicamente. All'arrivo di questi manigoldi la nostra povera gente era allora costretta a rifugiarsi sulla montagna abbandonando le proprie case. Fu così che una volta, alla venuta di questi barbari, lasciarono un pentolone di latte che, col caglio, iniziava la sua fermentazione. Quando tornarono dopo una decina di giorni trovarono la pentola ancora al suo posto e dentro vi trovarono un formaggio a pasta molle ricco di siero. L'assaggiarono e gli aggiunsero pepe, aglio e sale. Il gioco era fatto. Ne uscì un formaggio dal sapore maschio e dal profumo  “celestiale”, tanto che per battezzarlo si decise di scomodare perfino un Santo del cielo: San Carlo.

Com'è avvenuto il suo passaggio dalla matematica alla scrittura?

La matematica mi ha sempre affascinato, per la sua logica e la bellezza nascosta nelle sue strutture. Insegnando, poi, ho sempre cercato, in primo luogo, di trasmettere questa passione. Giunto il momento della pensione, tutti a dirmi: "Beato te, adesso ti godi la vita!" Già. Dopo una settimana, la "vita" consisteva nello strappare l’erba nel giardino, nel portare mia moglie al supermercato e nel cercare qualche amico per poi finire a parlare di PSA e di colesterolo. Così ho sentito il bisogno di guardare altrove e di scrivere. Non per sacra vocazione, ma per pura e semplice disperazione. Avevo già una certa propensione allo scrivere, c’era già il Menta e Rosmarino, avevo fatto un libro sulla matematica. 

Ha mai pensato di scrivere una scenografia teatrale e portare i suoi personaggi, con le loro caratteristiche e il loro modo di vita in una rappresentazione dialettale?

La domanda arriva proprio a proposito. Io non ho mai pensato di portare a teatro i miei personaggi, manco mi è mai passato per la testa. Tuttavia, con mia grande sorpresa e altrettanto piacere, mi hanno appena comunicato che durante il prossimo Ottobre caldanese, la Compagnia Teatrale Duse di Besozzo porterà in scena proprio alcuni personaggi dei miei libri, naturalmente rivisitati e adattati sulla base della loro esperienza.

E invece, per il futuro, che ne sarà della sua Caldana, o meglio, più in generale, dei nostri paesi? 

I  nostri paesi non torneranno mai più come prima – mi pare ormai cosa scontata - ma potrebbero reinventarsi in modo diverso. Vivere il senso della storia come continuo superamento è anche l’unica maniera positiva per  interpretarla. Si tratta quindi di progettare un futuro per i nostri paesi e quando lo facciamo è importante mettere nel conto non solo le nostre esigenze, ma anche quelle delle generazioni future che cresceranno in un contesto molto diverso dal nostro e potrebbero avere una visione più aperta, più innovativa. Nuovi gli attori, nuovo il proscenio!

Claudio Ferretti

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