Qualcosa è cambiato a Masnago?
Lo si vuole nel verbo - pesato, convinto, ripetuto - lo si attende nei fatti, lo si "legge" nell persone.
Il caldo di agosto è più meno lo stesso di un anno fa, ma a sedere davanti ai giornalisti non c’è più un “pulcino bagnato”, metà alieno e metà allenatore, a un passo forse troppo grande per lui: c’è un professionista che pare davvero fermamente convinto e consapevole del luogo in cui è, del compito che è chiamato a rivestire, della strada da percorrere e della meta cui ambire.
La timidezza di B., i sorrisi di M. L’inglese spedito e irraggiungibile di B., l’italiano che sa di mate di M. Le risposte di B., le affermazioni di M. I colpi parati di B., quelli dati di M.
Non si vorrebbe far confronti, ma dopo una stagione come quella scorsa è un po’ impossibile non farli. Ed è altrettanto impossibile non notare in questo primo passo ufficiale il ricorrere di una parolina magica che per due anni sotto al Sacro Monte è stata un tabù - e come tale scansato da amministratori delegati, g.m., allenatori, magazzinieri e ballerine - mentre oggi è diventata talmente importante da essere praticamente un biglietto da visita.
Difesa. Difesa. Difesa. Siamo passati dal - parafrasando - «Varese gioca così e chissenefrega degli altri» a frasi appena udite del tipo: «Per costruire la squadra di quest’anno abbiamo pensato di più alla parte difensiva»
Sulla carta è gaudium magnum: Benvenuti al Mandole I.
La nuova era tecnica biancorossa è iniziata in Sala Gualco nei meandri del Lino Oldrini, presenti i microfoni non ancora andati in vacanza e diversi componenti della famiglia della Pallacanestro Varese, quasi a voler prendere per mano con grande partecipazione l’esordio di questo ragazzo di 40 anni chiamato a dare stabilità a una barca che da anni non conosce - per una ragione o per l’altra - il mare placido di una baia.
Tra gli astanti anche Marco Legovich, il suo associated coach, per dirla alla stelle e strisce, qualcosa di molto di più di un vice. A lui coach Herman dedicata uno dei passaggi più significativi della sua conferenza stampa inaugurale: «Io ho scelto di lavorare con “Lego”? No, il contrario: è lui che ha scelto me. Aveva diverse offerte, ha deciso di rimanere qui. Conosco il ragazzo, conosco l’allenatore: posso dire di essere tranquillo con lui al mio fianco».
E allora sembra una missione studiata per bene quella intrapresa da questa coppia che è una delle più giovani mai avute in panchina nella storia di questo club. A trasparire è la determinazione di voler imparare dalle disgrazie tecniche degli ultimi due anni e di non voler lasciare nulla al caso. Anzi di più: di voler e di saper alzare la voce persino davanti al… Sistema.
Due coaching staff completamente diversi, stesso risultato: Varese tra le peggiori squadre difensive della serie A, sia per le statistiche normali che per quelle avanzate. Non ci voleva e non ci vuole quindi un genio a capire che gli allenatori sono c’entrati poco con un problema rinvenibile invece a monte, nella scelta dei giocatori in primis e nell’ortodossia senza repliche della filosofia seguita.
Ecco: Mandole e Legovich sembrano - quanto e come lo dirà solo il campo e i risultati che produrrà - aver voluto finalmente fare i conti con tutto questo, sembrano aver quasi stratto il patto di spezzare certe “catene” per non rimanere vittime di incongruenze che sono state palesi a tutti. E problematiche.
Un patto suggellato nel nome della grande “D”.
«La squadra mi piace tantissimo, il front office ha fatto un grande lavoro - dice il nuovo condottiero dopo i saluti di rito e dopo aver tributato onore al grande connazionale che lo ha preceduto negli stessi gradi, ovvero Ruben Magnano - Quest’anno abbiamo pensato più alla parte difensiva e scelto i giocatori in funzione di essa: penso che i nuovi acquisti siano tutti dei bravi difensori, lo dimostra quanto hanno fatto nelle stagioni passate. Sono contento della loro presenza: se davvero ci aiuteranno a difendere bene, allora anche in attacco andremo bene».
In una frase, l'ultima, si capovolge totalmente il senso di due anni di basket varesino.
Mentre ci diamo i pizzicotti per sincerarci di aver capito bene, arriva un’altra conferma. Sentite cosa dice Mandole su Mannion: «Il ruolo di Nico - con cui c’è un rapporto speciale, mi ha detto che per lui sono come un fratello - sarà più difensivo. Sappiamo benissimo cosa può dare in attacco, ora deve migliorare in difesa. Anche lui lo vuole, sa di averne bisogno, perché è un ragazzo molto intelligente che ama la pallacanestro».
E ancora: «È vero, il 4 non è stato cambiato e in passato abbiamo avuto problemi in difesa in post basso in quella posizione. Ma io credo che sia innanzitutto necessario mettere a posto tutte le altre situazioni difensive e il controllo dei rimbalzi: sarebbe già un grande risultato. Poi cercheremo di mettere una pezza anche a questa cosa».
La chiacchierata continua per diversi minuti, tanti gli argomenti toccati. Okeke, per esempio: «La vicenda ci preoccupa, ma come ha detto Luis abbiamo bisogno di tempo per capire cosa sia successo veramente e cosa accadrà. Adesso Leo è sospeso».
Poi gli obiettivi: «Se difenderemo bene, se attaccheremo bene e saremo una vera squadra, entreremo tra le migliori. Tutti vorremmo i playoff, è un grande obiettivo». E l’assenza delle coppe: «Programmeremo diversamente le nostre settimane per allenarci al meglio. Ma per me la coppa è importante, così come lo deve essere sempre per una società come Varese: nel futuro mi aspetto di tornarci».
Su “Kao”, ovvero sul nuovo centro Kaodirichi Akobundu-Ehiogu: «Ha un livello di atletismo che non è di questa Serie A (nel senso che è superiore ndr)… I suoi compagni sono tutti contenti della sua presenza: Mannion mi ha detto che con lui farà 10 assist a partita… Certo non è il centro classico lento e pesante, ma in generale dei miei giocatori mi piace vedere quello che hanno, non quello che non hanno. Al resto ci penseremo».
Sul gioco, per smentire per l’ennesima volta la vulgata del “tiriamo solo da 3”, ovvero il misunderstanding più comune per chi si approccia al “Moreyball”: «Varese non vuole tirare da 3 punti, Varese vuole andare al ferro. Se mi dici che abbiamo fatto 100 layup e 5 tiri da 3 io non posso che essere contento. La prima cosa è andare al ferro, la seconda è prendersi dei tiri, anche da fuori, con spazio, senza il difensore davanti».
Su ciò che ha imparato dai suoi predecessori: «Io penso di essere aperto di testa e quindi di aver imparato da tutti. Da Julio Lamas, da Federico Renzetti (l’altro argentino che completerà il coaching staff ndr), da Brase, da Legovich…».
E su Assui, infine: «Per me è importantissimo per tre ragioni: è bravo, è di Varese, può fare la serie A. Non pensassi questo, mai gli avrei chiesto di rimanere: non ho bisogno solo di un corpo in più per gli allenamenti…In lui credo, ci ho parlato con il cuore, conosco la sua famiglia e per me la decisione che ha preso è stata la migliore possibile per il suo presente e per il suo futuro».
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