Il Nazionale

Cronaca | 22 gennaio 2024, 16:10

Dal marito maltrattamenti e violenze: il tribunale di Cuneo lo condanna a sei anni

L'uomo era accusato di fronte al tribunale di Cuneo di violenze sessuali e maltrattamenti. Cadute le accuse di lesioni perché prescritte. I fatti dal 2010 al 2018 nel Saviglianese

“Ormai l’hai sposato. Non denunciarlo. Un marito si comporta così: è normale”. Sono queste le parole che per anni si era sentita ripetere da chi le chiedeva di temporeggiare e di rimanere in silenzio di fronte alle violenze, fisiche verbali perpetratele dal marito con cui conviveva dal 2010. L’uomo, originario del Senegal e imputato in tribunale a Cuneo, era arrivato in Italia tramite il fratello della donna e, dopo essersi sposati, i due andarono a vivere insieme nel saviglianese.

Nel 2017 lei aveva deciso di lasciarlo: i rapporti sono continuati fino al 2018. Lei, incinta, in sede di denuncia aveva riferito che fin dall’inizio della convivenza lui la picchiava con schiaffi e spintoni. Uno degli episodi che la Procura contestava all’uomo risale al capodanno del 2014: lei era incinta e all’ennesima litigata per gelosia lui le sferrò un pugno in faccia. A provare l’aggressione subìta dalla donna è il referto ospedaliero. “Lui le aveva consigliato di non dire che era stata picchiata – ha spiegato il pubblico ministero – perché sarebbe stato un motivo di vergogna per lei”. Quell’ultimo dell’anno, a casa della coppia, c’erano anche altre persone e – ha continuato il magistrato- “per non farla vedere dagli ospiti l’aveva chiusa a chiave in una stanza”.

Altro episodio di violenza risale sempre a quando la donna era incinta: lui aveva cercato di colpirla con una sedia ma per errore aveva colpito l’amica che era intervenuta per difenderla. La donna più volta si sarebbe confidata con quell’amica che le avrebbe detto “di non lasciare il marito perché nella loro religione si deve accettare tutto”.

Poi lui, per un periodo, tornò in Senegal e qui contrasse un nuovo matrimonio. Alla donna e ai figli rimasti in Italia era stata data un’abitazione di emergenza a Racconigi e al suo ritorno i due, sotto consiglio della madre di lei, ripresero la relazione proprio perché “un marito che si comporta così è normale”.

Quanto agli stupri di cui fu vittima, il pubblico ministero ha parlato di due episodi di violenza sessuale: uno a gennaio 2018 e l’altro a febbraio di quell’anno. Lui, al rifiuto di lei di riprendere la relazione, la costrinse a subire due rapporti sessuali: “Piangeva e urlava disperata il nome del fratello – ha proseguito il sostituto procuratore -. Lui era l’unica persona che l’aveva sempre protetta”.

“La nostra religione è pesante – aveva spiegato la vittima ai giudici – se hai problemi con il marito ti dicono di lasciare stare: se parli è soltanto perché sei stufa”. La donna, assistita dal suo avvocato, ha deciso di costituirsi parte civile nel procedimento contro l’uomo, nonché migliore amico di suo fratello, intervenuto più volte per ‘sistemare le cose’. “Il fratello della vittima – ha spiegato il legale- era l’unico con lui la donna parlava. Ha ammesso di aver visto spesso sua sorella con segni sul volto. L’imputato non provvedeva al nucleo famigliare, seppur percepisse un suo stipendio. Gli sfratti per morosità sono stati quattro e la signora è dovuta andare a vivere a Savigliano in una struttura messa a disposizione dal Comune, nella quale lui ha preteso di farsi ospitare al rientro dal Senegal. Lei ha accettato tutto per mantenere unita la famiglia, compresa la presenza di una seconda moglie”.

“Io avevo diritto a un’altra moglie – aveva invece spiegato ai giudici l’imputato – Era lei che mi minacciava dicendomi che mi avrebbe rovinato la vita. Dopo che ho sposato l’altra donna, lei aveva iniziato a chiedermi il divorzio in continuazione”. Quanto agli episodi di violenza e maltrattamento, l’uomo ha negato ogni addebito: “Non ricordo nulla del Capodanno del 2014 e non avevamo avuto nessuno sfratto. Ogni mese provvedo al mantenimento dei figli. I soldi mi vengono trattenuti dalla busta paga. Io non l’ho ma picchiata: io amo le donne e tanto meno l’ho violentata: non farei mai una cosa del genere alla madre dei miei bambini”.

Il difensore dell’uomo ne ha sostenuto l’innocenza: “Non si può condannare per il reato di violenza sessuale quando l’accusa si fondi unicamente sul racconto della vittima e quando questo presenti incongruenze e illogicità. Le incongruenze sono rappresentante principalmente dalla contraddizione tra quanto narrato in denuncia e quanto raccontato in incidente probatorio”.

Accusato di violenza sessuale, maltrattamenti e lesioni, l’uomo è stato condannato a sei anni e sette mesi di carcere. Inoltre, dovrà corrispondere 20mila come risarcimento in favore della donna. L’accusa di lesioni è invece prescritta e su un singolo episodio è stato assolto con formula piena.    

CharB.

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