Il Consiglio di Stato mette la parola fine alla vicenda che ha visto la società Amarea Srl ricorrere contro il provvedimento con cui il Comune di Bordighera gli intimava la rimozione del precario sito di fronte alla Rotonda di Sant’Ampelio.
La società, dopo il respingimento del ricorso al Tar della Liguria, infatti, si era rivolta al Consiglio di Stato, difesa dagli avvocati Mario Sanino, Silvia Sciandra e Emanuele Bertolin mentre il Comune di Bordighera, era rappresentato e difeso dall'avvocato Pietro Piciocchi.
La Amarea, gestore del locale alla rotonda di Bordighera e di proprietà del Comune, ha impugnato il provvedimento con cui lo stesso aveva intimato la rimozione di una struttura precaria di cui era stata autorizzata l’installazione per la ristrutturazione del locale. Nel procedimento si è costituita in giudizio anche l’agenzia del Demanio.
Secondo il Consiglio di Stato l’appello è infondato. In primo luogo perchè il provvedimento impugnato avrebbe violato un articolo di Legge, considerato che l’autorizzazione al mantenimento della struttura precaria sarebbe stata prorogata di diritto sino al novantesimo giorno successivo alla dichiarazione dello stato di emergenza per la pandemia da Covid-19.
E’ stato considerato infondato anche il secondo motivo di appello con cui si censura la sentenza per avere respinto il secondo e il terso motivo di ricorso. Condividendo il ragionamento del Tar, il Consiglio di Stato ritiene che sussistevano inconfutabilmente i presupposti giuridici e fattuali per lo sgombero e la rimozione in pristino dell'area, dal momento che per ‘fine lavori’ deve intendersi la ultimazione delle opere ai sensi e per gli effetti del Testo unico dell’edilizia.
I lavori risultavano conclusi alla data del 26 marzo 2021 – scrive il CdS - e ciò emerge in via documentale dal verbale sottoscritto dall’impresa esecutrice dei lavori, dal direttore dei lavori e dal responsabile del procedimento. Essendosi dunque realizzata la condizione alla quale era stata risolutivamente condizionata l’efficacia del titolo autorizzatorio ed essendo di conseguenza venuto meno il titolo stesso, non residuava più alcuna ragione giuridica, in capo alla società ricorrente, per pretendere di mantenere la struttura precaria, con conseguente piena applicabilità delle previsioni. Non colgono nel segno, inoltre, le argomentazioni con cui la ‘Amarea’ tenta di sostenere la tesi che la ‘fine lavori’ non si sarebbe nella sostanza mai verificata perché i locali sarebbero di fatto inidonei all’uso convenuto.
Considerato infondato anche il quarto motivo con cui la società ‘Amarea’ torna ad insistere sul tema della salvaguardia delle visuali, da e verso i luoghi di particolare pregio ambientale interessati dall’intervento di riqualificazione della Rotonda, e della mancata assicurazione delle garanzie partecipative al riguardo. “Il manufatto precario – scrive in proposito il CdS - era stato assentito sotto il profilo paesaggistico solo in ragione del fatto che esso per il suo carattere temporaneo non incide in modo permanente sull’immagine complessiva del territorio. Pertanto, la sua rimozione costituisce anzi motivo di rafforzata tutela del bene ambientale, piuttosto che ragione di tutela, dal momento che la sua incisione era risultata tollerabile solamente in quanto momentanea”.
Non coglie nel segno neppure il quinto motivo con cui si ripropone, sia pure sotto diverso profilo, la tesi della inidoneità dei locali rispetto allo scopo convenuto al termine della prevista ristrutturazione. Respinta la censura con cui parte appellante assume la necessità di attendere la conclusione dell'accertamento tecnico preventivo oggetto di procedimento civile pendente innanzi al Tribunale di Imperia. L’ordine di sgombero e ripristino dell'area sono autonomi e indipendenti rispetto agli accertamenti civilistici sorti nell’ambito di contenziosi di natura esclusivamente privatistica fra impresa committente e impresa appaltatrice, ragione per cui l’operato compiuto dall’Amministrazione comunale a tutela del bene demaniale si appalesa del tutto corretto e pienamente rispondente alla sua natura di bene protetto, anche dal punto di vista ambientale.
Anche l’ultima censura non è stata condivisa dal Consiglio di Stato. In questo caso Amare aveva evidenziato l’eccessiva brevità del termine per rimuovere la struttura precaria: “Va preliminarmente chiarito che questo giudice non potrebbe indicare un diverso termine di durata per eseguire quanto necessario alla messa in pristino, trattandosi di questione di merito amministrativo che sfugge al sindacato di legittimità. Nei limiti di termini di ragionevolezza e plausibilità, il termine fissato dall’Amministrazione non appare illogico, incongruo o sproporzionato per eccessiva brevità, tale non potendo ritenersi un termine di 90 giorni per la rimozione di un manufatto già in sé precario, che dunque non necessita di opere di vera e propria demolizione”.
Il Consiglio di Stato ha così respinto il ricorso, condannando la ‘Amarea’ a rifondere in favore del Comune le spese del giudizio, in 4.000 euro, oltre spese generali.
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