Carlin era un vecchio navigante che ne aveva viste e vissute di tutti i colori. Talmente tante, che avrebbe potuto scriverci dei libri, sceneggiarci dei film, animarci delle storie. Ma a Carlin tutto questo non interessava. Gli bastava passare gli interi pomeriggi ai giardini di Pra’, nel Ponente di Genova, a incantare con le sue parole, a tenere le persone incollate alle panchine con i suoi racconti. Soprattutto i più giovani.
Ad ascoltare Carlin U Mainâ, Carlo il marinaio, si fermavano soprattutto i ragazzini: si sedevano in cerchio intorno a quell’anziano signore, incrociavano le gambe e aprivano le orecchie. Tra loro, c’era anche Carletto, un adolescente che era nato a Pra’ nel 1930. Carlin e Carletto, il passato, il presente e il futuro delle storie legate al mare.
Ascoltava, ascoltava e ascoltava e fu proprio in questi momenti che Carletto capì che cosa avrebbe voluto fare da grande, fu qui che si rese conto che il mare sarebbe stato la sua vita. Si chiamava Carlo Bruzzone, il piccolo Carletto, frequentava l’istituto “Tortelli” e tutte le mattine passava vicino alla sede dell’Italia di Navigazione. Così, ogni giorno ammirava i modellini dei transatlantici, osservava le foto dei migliori natanti dell’epoca, e poi al pomeriggio ascoltava le storie di Carlin U Mainâ.
Fu nel 1948, quando compì diciotto anni, che Carlo Bruzzone scelse di prendere la via del mare. Non lo voleva la sua famiglia, aveva cercato di fargli cambiare idea, ma in Carlo quella passione era troppo forte, quella voglia di partire e di viaggiare pure. Prese il libretto di navigazione, andò in treno sino a Le Havre, in Francia, s’imbarcò come giovanotto di coperta a bordo del piroscafo Europa e si diresse verso Halifax, in Canada, quella terra che allora, e per tutti, era Canadà, con l’accento sull’ultima sillaba.
Si ballava da prua a poppa, si ballava da poppa a prua: fu un marinaio sardo, fu ancora un marinaio, a prendersi a cuore Carletto e, quando la nave fece scalo a New York, lo introdusse presso le famiglie di genovesi che già vivevano lì. Aveva una gran voglia di lavorare, il ragazzo di Pra’, aveva una gran voglia di essere lui, di esserlo per davvero, il protagonista delle storie che Carlin U Mainâ gli raccontava quand’era bambino.
Sognava e studiava, sognava e lavorava: e divenne allievo, e divenne commissario di bordo, e scalò i ruoli a bordo della nave, e delle altre navi, sino a che decise che New York sarebbe stata la sua casa, che quella era la sua terra promessa. S’iscrisse all’Università di New York, studiava Economia e commercio marittimo e trovò lavoro part time presso l’agenzia di spedizioni genovese Luigi Serra, che era guidata dal bravissimo signor Canale. Qui Carlo Bruzzone fece carriera, sino a diventare vice presidente della società, si sposò con una ragazza di Parma ed ebbe tre figli.
Passò poi a un’altra agenzia, la più grande Odino Valperga sino a quando, nel 1966, il gruppo stava rischiando la chiusura per problemi finanziari. E fu qui, esattamente qui, che Carlo Bruzzone compì il salto della sua vita: s ricordò di Carlin U Mainâ, si ricordò dei transatlantici che vedeva in vetrina, si ricordò della sua famiglia che non lo voleva navigante, si ricordò un po’ di tutto e, investendo e rischiando tutto ciò che aveva, rilevò la Odino Valperga e fondò la sua agenzia.
La chiamò Bruzzone Shipping, la basò a Manhattan ed ebbe sin da subito l’intuizione geniale: aveva sempre esportato merci dall’America all’Europa, ora voleva importare merci dall’Italia agli Stati Uniti. Per far conoscere l’unicità del made in Italy: nel cibo, nelle macchine utensili, negli pneumatici, nei marmi, negli arredi. Lavorò per le più grandi aziende italiane, fece la spola tra New York e la sua Genova, diede lavoro a decine di italiani nel Nuovo Continente e tracciò un futuro per i suoi figli Vittorio, Federico e Luigina, che l’avventura di Bruzzone Shipping la portano avanti ancora oggi, oggi che Carletto non c’è più, ma è rimasto intatto tutto quello che faceva.
Se n’è andato un giorno d’autunno di tre anni fa, all’età di novant’anni, recandosi sino all’ultimo nel suo ufficio, in quello ‘scagno’ che si era ritagliato nella nuova sede di Long Island. Già, lo ‘scagno’, come ogni buon genovese di una volta: un ufficio di minuscole dimensioni, a ribadire l’understatement tipico di questa terra, tipico della Liguria.
Quanto gli ha voluto bene a questa terra, quanto l’ha amata, Carlo Bruzzone: dalla parrocchia dell’Assuntadov’era nato (nel sestiere di Palmaro) al mare che una volta ancora c’era. Perché sì, il mare una volta c’era anche qui, prima che la spiaggia diventasse un porto, quando ancora si potevano mettere le radici, e la famiglia Bruzzone aveva messo le sue: li chiamavano ‘I Cioi da stasiun’.
Se il made in Italy è così amato e così popolare negli Stati Uniti, se a New York dici Italia e subito la mente va ai grandi prodotti del nostro paese, è merito anche di un uomo di Pra’ che da piccolo ascoltava le storie di un marinaio e guardava i modellini delle navi, sognando un giorno di salirci sopra.
Carlo Bruzzone, orgoglio del Ponente genovese, orgoglio di tutti noi, genovesi e italiani.
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